Il bosco di via Breo a Piove di Sacco

di Davide Tomasi, Francesca Tosato, Giovanni Caniglia

Introduzione

Salice bianco (Salix alba)
Salice bianco (Salix alba)

Il Bosco di via Breo è situato a sud del centro di Piove di Sacco, a poche centinaia di metri dalla Strada Statale n. 516 “Piovese”; esso è collocato tra un’area urbanizzata e un’ancora a vocazione agricola e rappresenta pertanto un’importante area di rifugio per la fauna (ZATTA & REGGIANI, 2003).

Si tratta di un appezzamento di forma trapezoidale di 2,6 ettari, la cui lunghezza massima è di circa 250 m, mentre la larghezza va dai 145 m del lato nord, ai 105 m di quello sud. L’area è separata dai campi circostanti da fossi ed è delimitata a meridione dallo scolo Cavaizza della Tognana.

Il Bosco di via Breo è costituito da un saliceto (Salicetum albae) che occupa la quasi totalità dell’area. I saliceti sono cenosi arboree pioniere che si sviluppano sulle sponde o negli alvei fluviali. In Veneto, saliceti di grande estensione e ben conservati, esistono ormai solo in alcune zone golenali lungo i fiumi maggiori, poiché le canalizzazioni, le cementificazioni e l’estensione delle colture di pioppo, li hanno spesso ridotti a semplici e discontinue formazioni lineari.

In questo caso l’origine del saliceto è legata all’attività di cava che ha interessato l’area, la quale ha avvicinato la superficie del terreno alla falda. Su questo substrato umido, privo di concorrenza e in condizioni di ottima luminosità, hanno trovato l’ambiente adatto per svilupparsi i salici bianchi (Salix alba).

La flora

La flora è costituita da un centinaio di specie, comprese varie essenze naturalizzate o legate agli ambienti antropici. Si tratta di un numero abbastanza contenuto, anche a causa delle ridotte dimensioni e dell’omogeneità dell’area, ma in linea con quella che è la situazione tipica di queste comunità vegetali pioniere.
Nello strato arboreo è netta la predominanza del salice bianco, con il pioppo nero (Populus nigra) che diventa prevalente in alcune aree.

Il popolamento è costituito da un’elevata densità di salici coetanei, considerevolmente sviluppati in altezza, con dimensioni diametriche modeste e chiome poco espanse. Tale struttura si è determinata per lo sviluppo simultaneo di numerose giovani piante che ha determinato una forte competizione tra i vari individui.

Queste condizioni di partenza hanno finora lasciato ben poco spazio ad altre entità come il platano comune (Platanus hybrida), l’olmo campestre (Ulmus minor) e la robinia (Robinia pseudacacia), che sono più comuni nelle zone marginali.

In una zona limitata, più o meno centrale, i salici sono sostituiti dall’olmo e soprattutto dal pioppo bianco (Populus alba), che si presenta con alcuni pregevoli esemplari e con una buona rinnovazione.

L’olmo forma fitte siepi lungo i due lati maggiori, mentre in altri tratti il margine si presenta più degradato e aperto, con abbondanza di rovo comune (Rubus ulmifolius), robinia, platano e sambuco nero (Sambucus nigra).

Un ampio tratto del cordolo meridionale è occupato da una banale e degradata boscaglia di robinia.
Questa specie riduce la biodiversità del sottobosco in quanto, da una parte induce la nitrificazione del suolo e dall’altra produce una lettiera acida e le radici emettono sostanze tossiche.

Lungo la sponda dello scolo Cavaizza è rinvenibile un piccolo lembo di vegetazione boschiva palustre, con esemplari di ontano nero (Alnus glutinosa) frammisti a cespugli di salice rosso (Salix purpurea), salice da ceste (S. triandra), rovo bluastro (Rubus caesius) e a vegetazione erbacea palustre.

Il livello arbustivo si presenta più diversificato rispetto a quello arboreo: il rovo bluastro forma un basso strato a forte copertura, la sanguinella (Cornus sanguinea) costituisce un intricato piano cespuglioso, mentre il sambuco nero risulta più diffuso verso bordi del popolamento; il nocciolo (Corylus avellana) presenta un’elevata copertura in un tratto del lato orientale che in passato è stata governato a ceduo. Il salice cinereo (Salix cinerea), legato a condizioni di falda affiorante, è presente con sparuti esemplari. Si possono citare poi la fusaria comune (Euonymus europaeus), dai curiosi frutti simili “ad un berretto da prete”, la quale predilige condizioni di elevata umidità edafica e l’acero oppio (Acer campestre), che al contrario si insedia sul suolo più asciutto e che solo raramente raggiunge un portamento arboreo.

L’abbondanza di sanguinella suggerisce che il bosco si trovi in uno stadio di transizione che tende verso una fase più evoluta della serie vegetazionale; il suolo sta divenendo più asciutto e ricco di sostanze nutritive, quindi più favorevole a specie con una maggiore capacità competitiva, come l’olmo e il pioppo bianco. Le modificazioni edafiche, associate alla diminuzione di luminosità al suolo, hanno provocato il declino della rinnovazione da parte del salice bianco e del pioppo nero.

Le forme rampicanti rappresentano un elemento strutturale rilevante, in particolare l’edera (Hedera helix), che si abbarbica sugli alberi ma che tappezza anche il terreno, e in subordine la vite (Vitis vinifera), mentre hanno un ruolo minore il caprifoglio giapponese (Lonicera japonica) e il luppolo (Humulus lupulus).

Vi sono anche specie mediterranee sempreverdi, ampiamente coltivate e naturalizzate, come l’alloro (Laurus nobilis), il lauroceraso (Prunus laurocerasus), l’agazzino (Pyracantha coccinea), cespuglio spinoso che in autunno produce grappoli di bacche rosse e la pervinca maggiore (Vinca major), dai grandi e vivaci fiori viola.

Oltre alla robinia e al caprifoglio giapponese sono presenti altre esotiche presenti, come la maonia (Mahonia aquifolium), l’acero americano (Acer negundo) e la vite del Canada (Parthenocissus quinquefolia), ma queste costituiscono delle componenti marginali, con pochi e sparsi esemplari.

Cospicua è presenza di specie erbacee perenni, ad evidenziare che ci troviamo di fronte ad un bosco abbastanza aperto e luminoso.

Cannuccia di palude (Phragmites australis)
Cannuccia di palude (Phragmites australis)

Le specie bulbose o rizomatose, come la consolida maggiore e quella minore (Symphytum officinale, S. bulbosum), il farfaraccio (Tussilago farfara) e la brionia comune (Bryonia dioica), tendono a completare il loro ciclo vegetativo nella prima parte della primavera, per sfruttare la maggiore luminosità dovuta alla mancanza delle foglie degli alberi.

Le più diffuse specie erbacee sono di tipo igro-nitrofilo, come l’ellera terrestre (Glechoma hederacea), l’ortica comune (Urtica dioica) e la vetriola comune (Parietaria officinalis). Importanti, per il loro significato ecologico, sono le specie palustri come l’erba-sega comune (Lycopus europaeus), la scagliola palustre (Typhoides arundinacea), la cannuccia di palude (Phragmites australis), il giaggiolo acquatico (Iris pseudacorus), i carici (Carex otrubae, C. pendula) e la salcerella comune (Lythrum salicaria), le quali sono favorite dall’allagamento primaverile cui sono sottoposte le aree più depresse.

La componente erbacee raggiunge il suo massimo sviluppo in corrispondenza delle piccole radure che punteggiano il bosco, in particolare lungo il lato occidentale. In queste aree, di poche decine di m2, situate spesso in corrispondenza di alberi abbattuti, lo strato arbustivo è meno opprimente e permette la crescita di rigogliosi popolamenti di consolida minore, stregona dei boschi (Stachys sylvatica), equiseto massimo (Equisetum telmateja) ed erba-sega comune.

Dinamica evolutiva della vegetazione

Date le caratteristiche ambientali si può prevedere che il saliceto possa evolvere verso forme assimilabili al querco-ulmeto (Querco-Ulmetum minoris), con l’affermazione dell’olmo, del pioppo bianco e di altre specie corrispondenti a stadi più evoluti della serie, come la farnia e il ciliegio, ora presenti solo sporadicamente.

La diffusione della farnia, specie poco vagile a causa delle grosse dimensioni del frutto, è ostacolata dalla mancanza di individui maturi nei pressi del bosco; le plantule derivano probabilmente da semi giunti accidentalmente nell’area.

Il querco-ulmeto è un bosco misto di farnia e olmo campestre, che si sviluppa in stazioni con falda sempre molto vicina alla superficie e che possono essere talora soggette ad inondazioni. Queste cenosi boschive sono a elevatissima biodiversità faunistica. Purtroppo gli interventi di arginatura, bonifiche e l’introduzione di specie esotiche, hanno fortemente ridotto la loro estensione e i pochi lembi residui sono da conservare.

Su tempi lunghi la vegetazione dovrebbe evolvere verso il querco-carpineto planiziale, che nella Pianura Padana orientale corrisponde all’associazione climax Asparago tenuifolii-Quercetum roboris. Questa tipologia forestale, legata alla fascia di vegetazione centroeuropea, che raggiunge proprio nell’Italia Padana il suo limite meridionale, si sviluppa nelle aree con clima temperato-subcontinentale e su suoli profondi, ricchi di basi e a drenaggio libero (terra bruna mesofila).

I querco-carpineti sono le cenosi forestali che presentano la maggiore biodiversità sia vegetale, raggiungendo le 40-50 specie per rilievo, che animale.

Il fattore più importante che potrebbe influenzare l’evoluzione dinamica è sicuramente il livello della falda: se dovesse perdurare la condizione attuale, di elevata superficialità, la serie potrebbe restare a lungo bloccata allo stadio di querco-ulmeto; se invece la falda dovesse abbassarsi, anche a causa dell’eccessivo sfruttamento, le condizioni diverrebbero più favorevoli per l’insediamento delle specie mesofile del querco-carpineto.

Possibili interventi per la valorizzazione naturalistica

Attualmente i querceti misti della Pianura Padana sono limitati a pochi brandelli, frammentati e in gran parte concentrati in Piemonte e in Friuli; in Veneto i pochi rimasti sono di dimensioni molto ridotte, di solito alcuni ettari. Pertanto anche piccoli lembi assumono una grande importanza e devono essere tutelati, per favorirne la naturale evoluzione e fornire un habitat al maggior numero possibile di specie animali.

Le operazioni di ripulitura della vegetazione indesiderata e gli eventuali nuovi impianti dovranno essere attuati con gradualità per non stravolgere gli equilibri presenti. Le specie dovranno essere scelte in base alle loro esigenze ecologiche riguardo a fattori come le caratteristiche pedologiche, l’umidità del suolo e la luminosità.
Per le aree più depresse e umide si dovranno preferire le specie più igrofile, normali componenti dei boschi rivieraschi e golenali: tra quelle già ben presenti saranno da favorire il pioppo bianco, l’olmo campestre e l’ontano nero; tra quelle da introdurre si possono citare la farnia, il pallon di maggio (Viburnum opulus), la frangola (Frangula alnus) e specie meno comuni come il pado (Prunus padus) e il frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa).

Dove il terreno è meno imbibito d’acqua si potranno collocare specie legate al querco-carpineto mesofilo come il carpino bianco (Carpinus betulus), il caprifoglio peloso (Lonicera xylosteum), il biancospino selvatico (Crataegus oxyacantha), il pero selvatico (Pyrus pyraster) e lo spino-cervino (Rhamnus catharticus).

Le aree meno umide e con maggiore luminosità, come i dossi che delimitano il sito e i cordoli rialzati all’interno, sono l’habitat ideale per vari arbusti e piccoli alberi, che possono fornire un importante fonte di nutrimento per la fauna: la lantana (Viburnum lantana), il prugnolo (Prunus spinosa), alcune specie di rose (Rosa canina, R. arvensis), il ciavardello (Sorbus torminalis), il biancospino comune (Crataegus monogyna), il corniolo (Cornus mas) e il melo selvatico (Malus sylvestris).

L’eventuale materiale vegetale da mettere a dimora dovrà essere certificato come autoctono e inoltre per i primi anni sarà necessario seguire, con particolari cure e adeguata pacciamatura, le giovani piante.

Per favorire la funzionalità ecologica di questo piccola area boscata sarebbe opportuno creare delle fasce tampone nei confronti dei coltivi, con prati permanenti, siepi o anche colture a perdere. Importante, inoltre, è il ruolo svolto come corridoio ecologico dallo scolo Cavaizza; una gestione corretta delle sue sponde, mantenendo, e se possibile ampliando, le siepi e le formazioni vegetali che crescono spontanee sulle rive, determinerebbe significativi risultati sia naturalistici che paesaggistici.

Un’ulteriore operazione di gestione è il controllo della vegetazione alloctona o indesiderata.

Il problema principale è rappresentato dalla robinia, che colonizza facilmente gli ambienti aperti. Per contrastarla è opportuno aumentare la copertura arborea, impiantando nelle chiarie specie a rapido accrescimento (es. ciliegio, nocciolo, carpino bianco, olmo campestre). Il nocciolo può contribuire a controbattere l’acidificazione della lettiera generata dalla robinia, poiché produce un humus dolce, molto fertile e che si altera velocemente (Corbetta et al., 1998).

La presenza del platano causa minori problematiche perché non ha la stessa capacità espansiva della robinia; può comunque provocare l’impoverimento del sottobosco per l’accumulo delle foglie morte, molto coriacee e a lenta decomposizione, perciò è auspicabile la sua graduale eliminazione.

La diffusione di altre specie alloctone è marginale e non rappresenta al momento un problema.

Un ruolo molto importante è svolto dagli alberi morti, poiché forniscono una nicchia ecologica per una vasta gamma di artropodi e inoltre aumentano la fertilità del terreno. Attualmente vi sono numerosi alberi abbattuti a causa del portamento slanciato di molti esemplari, legato all’elevata densità, e della superficialità dell’apparato radicale, conseguenza dei fenomeni di anossia del suolo.

Il legno morto in piedi non si degrada così velocemente come i fusti abbattuti e pertanto costituisce un habitat persistente.

La conservazione del legno morto è quindi indispensabile e non rappresenta un innesco per funghi e insetti nocivi, visto che le specie che su di esso s’insediano sono completamente diverse da quelle che attaccano le piante vive; fatti salvi eventuali problemi di sicurezza sarebbe quindi necessario conservarne il maggior numero possibile.

Conclusioni

Per il territorio piovese, il Bosco di via Breo rappresenta un’area naturalistica di pregio dal punto di vista strutturale, con notevoli potenzialità, sia di tipo faunistico, sia vegetazionale; inoltre si presta molto bene allo studio della dinamica evolutiva di ecosistemi di origine secondaria.

Alla luce della ridotta e frammentaria presenza di boschi nella pianura veneta, è di fondamentale importanza la tutela e la valorizzazione anche di questi piccoli lembi di vegetazione arborea.

 

Bibliografia

Corbetta F., Abbate G., Frattaroli A., Pirone G. 1998, S.O.S. verde! Vegetazioni e specie da conservare, Edagricole, Edizioni agricole, Bologna, pp. 610.
Zatta P., Reggiani P., 2003, Il Bosco di via Breo, Studi sul territorio: l’ambiente e il paesaggio, n. 12, Provincia di Padova. Assessorato all’Ambiente, pp. 67.