Il calendario rituale contadino

di Antonio Todaro

cachi

Nel seguire queste tracce, si arriva a percorrere una piccola storia locale che sollecita a sbirciare tra i prodotti dei campi e del cortile e i cibi preparati, elaborati, consumati, vissuti e pensati. Ne emerge una successione ciclica di cibi che si andavano ripetendo ogni anno durante i periodi freddi e caldi, secchi e piovosi, nel momento delle semine o dei raccolti: una realtà immateriale che coincide con quello che ora definiamo tempo e che il contadino era riuscito ad organizzare scandendo stagionalmente feste e cerimonie civili, religiose e popolari, proverbi, fiabe, canti. Un rituale solidale con il fluire ciclico degli eventi agrari, dei ritmi vitali della natura, delle conoscenze astronomiche suggerite dalla ciclicità della luna e degli astri, dalla posizione mutevole del sole, dall’avvicendarsi delle stagioni e dei lavori agricoli. Non solo. Ma anche osservando il ritorno di una data selvaggina, il germogliare di una data pianta o l’aratura di un certo suolo. Questo insieme naturale, concreto, operativo di osservazioni si è andato sovrapponendo fino a tessere l’ordito di un calendario che rappresenta “la massima espressione dello sforzo umano di organizzare il tempo” (Grimaldi, 1993, p.   ). In questo fluire si sovrappongono il tempo profano, segnato dalla rinascita delle piante, dalla fioritura degli alberi, dalla maturazione del grano, il tempo sacro, contrassegnato da una trama simbolica segnata da un insieme di culti agrari che hanno consentito all’uomo di organizzarsi in società, e la memoria orale, che rappresentava “uno strumento di conoscenze e informazioni strettamente legate agli usi e costumi, ai comportamenti individuali e sociali, da costituire un punto di riferimento indispensabile per la comprensione della vita e del lavoro dell’uomo” (Coltro, 1980, p.5).

Nel fondo dell’animo del contadino resta sempre una religione naturale che aveva due poli: ad un estremo vi è la speranza nella Provvidenza, all’altro, il timore per tutto quanto poteva compromettere i raccolti, la vita delle cose e degli stessi membri della famiglia. Per questo pregavano Dio, i santi e la Madonna e chiedevano loro di salvare i raccolti con una successioni di formule, cantilene, rituali, invocazioni che ricordano talora vecchi culti dal sapore profondamente pagano.”
(Sant’Angelo di Piove, Giugno 1961, Carlo, anni 67, maestro elementare)

Lo testimoniano i documenti d’archivio, le vecchie storie che ricordano le previsioni dell’annata agraria, le benedizioni, le preghiere, le processioni, le messe, le sagre, le rogazioni, le questue, i tridui, le abitudini produttive, i proverbi e i cibi che si succedevano nel corso dei mesi in occasione delle varie ricorrenze. E anche i lunari scritti quale “Il lunario del Contadino Poiana Maggiore” che elenca il variare del tempo giorno dopo giorno (tanto che si finiva per dire, el lo gà dito anca el Poiana”) e, andando a ritroso i “Pregiudizi degli influssi lunari sulla vegetazione” (1795) di Filippo Re, il “Discorso sopra gli influssi delle stelle” (Modena, 1778) di Padre Vincenzo Cattelan, il “De influxu siderum in corpora terrestria” (1764). E ora c’è pure la società odierna che, nel suo affrettato scorrere, ha finito per corrodere i ricordi dei lunari personali che  si erano andati intrecciando agli eventi della vita quotidiana dei singoli contadini attratti dalla logica interna delle diverse fasi lunari, da un proprio pensiero meteorologico evoluto in sintonia con il divenire dell’anno e con alcune feste locali, religiose e profane.

In Saccisica,  l’addomesticamento del tempo e dello spazio ha varcato disinvoltamente i secoli e le epoche. A coniarlo fu l’esperienza di una lunga catena di generazioni che, dopo secoli e millenni, continuano ad essere qui a raccontare una loro storia ricca di tenacia, di pazienza, di una gran voglia di radicarsi e di rimanere stabilendo un contatto fra ieri e oggi. Un ieri in cui ogni lavoro, ogni alba e ogni tramonto erano un’occasione per ritrovare santi e stagioni presenti in una fede diffusa come una macchia d’inchiostro che si disperde, si sposta, scompare e ricompare dal fondo di una spessa carta assorbente con una sua enigmatica trama sovrastata dal sole e dall’osservazione dei ritmi della luna.

Di questo astro Plinio ( sec)  scriveva:

Polimorfa, essa ha torturato con il dubbio la mente dei suoi osservatori, incapaci di sopportare che proprio l’astro più vicino restasse sconosciuto; sempre in uguali, ora arrotondata in un disco; macchiata e, di colpo, sfolgorante di luce, sconfinata con il suo cerchio pieno e, d’un tratto, annientata; a volte veglia notti intere, altre volte appare sul tardi, e aiuta la luce del sole per una parte del giorno; in eclisse e tuttavia visibile, a fine mese è celata, ma non si crede a un’eclissi; ora è bassa sulla terra, ora elevatissima, e neppure in modo costante, ma talora accostata alla volta celeste, talora prossima alle montagne, ora alzata verso il nord, ora discesa a sud” (II, 41-43).

Un periodare che si è andato ampiamente distendendo anche nella vita quotidiana del contadino di questa terra contadina e che ha finito per fornirgli informazioni, suggerirgli un ampio ed articolato sistema di conoscenze di eventi naturali e di rituali, in parte laici, di provenienza nordica (1° febbraio, 1° maggio, 1° agosto, 1° novembre), in parte cristiani (25 dicembre- Natale, 1° gennaio-capodanno, 6 gennaio- Epifania, Assunzione-15 agosto, tutti i Santi-1° novembre, il giorno dei morti-2 novembre), che avvengono in date fisse e che seguono il corso del sole, e con altre feste mobili che alludono alla Passione, Morte, Resurrezione di Cristo e che si riferiscono al corso della luna. La principale festa mobile è quella di Pasqua, che cade dopo il 21 marzo (equinozio di primavera) e avviene nella domenica immediatamente successiva al primo plenilunio primaverile.

La prima data possibile per la Pasqua dei cristiani era perciò il 22 marzo, che è la scadenza pasquale più alta, detta in chiave anteriore. Grazie al gioco della luna sull’anno tropico, Pasqua cambierà tra questa chiave anteriore e la sua scadenza più bassa sarà il 25 aprile” (Gaibagnet, Lajoux, 1985, p. 69, n. 6).

“Nella sua genesi remota, la pasqua si riferiva a un rito ebraico di transumanza che ha lasciato tracce evidenti nella pasqua ebraica codificata nel capitolo 12 del libro biblico dell’Esodo. Tale evento avveniva in primavera, nel periodo di marzo-aprile, ed era vincolato al plenilunio primaverile (il 14 del mese di Nisan).”
(Gorgo, aprile 1959, don Giacomo Zancanaro, parroco dal 1926).

Questa data è l’asse portante del calendario cristiano e condiziona la cadenza del tempo delle feste mobili cristiane che la precedono e la seguono.

 Feste prima di PasquaSettuagesima (settima domenica prima della domenica di Passione, 63 giorni prima di Pasqua); le Ceneri (mercoledì, primo giorno di Quaresima; il giorno successivo al martedì grasso, che è l’ultimo di carnevale, 46 giorni prima di Pasqua),  prima domenica di Quaresima, 42 giorni prima di Pasqua); domenica di Passione (14 giorni prima di Pasqua); domenica delle Palme o dell’Olivo (7 giorni prima di Pasqua).

Pasqua di Resurrezione.

Festa dopo Pasqua: Ascensione ( domenica, 39 giorni dopo Pasqua; Pentecoste detta anche Pasqua di rose, domenica, 49 giorni dopo Pasqua); SS.Trinità (domenica, 56 giorni dopo Pasqua); Corpus Domini (giovedì),  60 giorni dopo Pasqua.

“Erano feste mobili anche le quattro tempora (ossia le quattro stagioni) che cadevano nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato, rispettivamente dopo la prima domenica di quaresima, dopo la Pentecoste, dopo il 14 settembre, giorno dell’esaltazione della Croce, e dopo la terza domenica dell’Avvento. L’Avvento era il tempo di preparazione alla festa di Natale e comprendeva le quattro domeniche che precedevano la domenica in cui si festeggiava la venuta del Redentore” (Collino, 1928, pp. 30-31).

Topinambur

Sono date, feste che, nel loro susseguirsi costringono a sfogliare il proprio archivio mentale e a collaborare alla narrazione ricordando scene viste, canti ascoltati, libri letti, eventi che la vita ha messo sotto gli occhi, cogliendo gli snodi fondamentali che scandivano la penuria e l’incertezza di molteplici vite e il repertorio degli antichi mestieri. Date che guidano come fili preziosi nel labirinto dei ricordi perduti, da cercare con pazienza o come una enorme madeleine dove c’è sempre una briciola per tutti. Anche per chi in Saccisica non c’è mai stato e non ha visto mai niente. Talora sono ricordi intensi, commossi, ironici, surreali, ricchi di rimandi tra il loro passato e un nostro presente sempre più affrettato. Un modo per raccontare i contadini del passato, le loro ansie, gli estri, le passioni,  le loro idee del tempo.

“Non parlavano mai di mesi e settimane; per loro era più “comodo” riferirsi al “tempo”, alle “stagioni”, intese come “periodi”, “momenti”. Vi  era la stajon  de la somena (marzo), la stajon di cavalieri (aprile-giugno), la stajon del tajare el fromento (giugno), la stajon de arare(agosto), la stajon de sunàre el fromenton o la stajon de la polenta (settembre), la stajon del vendemare (ottobre).  E all’interno di questi si succedevano altre divisioni quali la quarantia, che il contadino contava mettendo insieme i 28-29 giorni delle quattro fasi di una lunazione e la prima fase della lunazione successiva. Questa successione era considerata dal contadino come una breve stagione, durante la quale si verificava un insieme di eventi atmosferici che erano determinanti per l’andamento dei lavori dei campi. Queste cadenze erano tenute a mente riferendosi ai santi che si veneravano in quel periodo e ricordando un insieme di proverbi che venivano tramandati di generazione in generazione”
(Civè, marzo 1959, Bruno Gallato, parroco dal 1954).

 Al loro interno la saggezza popolare suggeriva i giorni del lavoro, i giorni delle feste, i giorni dei presagi e dei proverbi. Tutto ha finito per assumere  un significato, un valore, un sapore che ha coinvolto anche la tavola, la cucina, la gastronomia di questa terra contadina che, in fondo, continua a raccontare una vicinanza che il tempo ha trasformato in ricordi. Chi invece aveva la fortuna di frequentare la scuola sape va a memoria una filastrocca in cui si accoppiava la successione dei mesi con un complicato ed astruso andamento del tempo durante le stagioni  Gennaio mette ai monti la parrucca (cioè sulle vette delle montagne nevica), / Febbraio grandi e piccoli imbacucca, / Marzo libera il sol dalla prigionia / Aprile di bei fior infiora la via…

Alcuni termini del tempo meteorologico del contadino

 L’Anno

L’anno del contadino iniziava l’undici di novembre, San Martino (da un San  Martin a ‘n’altro) e terminava il 10 di novembre dell’anno successivo.

Nella cultura contadina questo concetto comprende le scadenze e le previsioni dell’annata agraria, gli avvenimenti più importanti dell’ anno civile e tutto ciò che riguardava l’anno religioso.

I comportamenti

Dalle previsioni scaturiscono gli “insegnamenti” di carattere meteorologico, quindi i “comportamenti” sociali e individuali secondo le “regole” fissate nei detti proverbiali. Spesso, queste “regole” sono smentite dal “tempo” reale, dalle condizioni atmosferiche contingenti, ma la loro validità non muta di valore perché il contadino vi crede in quanto “tramandati”, cioè frutto di esperienza antica. Caso mai è il “tempo” che non sta alla “regola”; infatti si dice che “el tempo no l’è pi quelo “, non è più quello di una volta; che “no se capisse pi le stajon“, le stagioni hanno mutato il loro corso,…

Estate e inverno

I contadini tendono a dividere i giorni dell’anno in due grandi periodi, l’istà e l’inverno, il tempo del caldo e il tempo del freddo, la bela e la bruta stajon. Una tale concezione elimina la divisione astronomica del tempo in quattro stagioni e lo stesso termine stajon riassume indissolubilmente il fatto meteorologico in sé e l’andamento della produzione agraria. Così, si chiama bela stajon il periodo di tempo che consente il lavoro e il raccolto; ‘na bruta stajon, quella che non offre condizioni normali per attuare il ciclo vegetativo, dalle semine al raccolto.

Le kalendre

I primi ventiquattro giorni di gennaio sono chiamati kalendre e sono considerati endegari, indicatori del tempo che si avrà nel corso di tutto l’anno.

Infatti, i contadini sono soliti trarre dalle condizioni meteorologiche di questi giorni un giudizio per prevedere l’andamento meteorologico del resto dell’anno.

In pratica, essi dividevano le kalendre in due fasi, una discendente, le kalendre che va in zo, l’altra ascendente, le Kalendre che va in su, ciascuna di dodici giorni. Ad ogni singolo giorno, facevano corrispondere il mese che risulta dall’ordine progressivo dell’anno, e se la fase discendente mostrava gli stessi fenomeni atmosferici della fase ascendente, si otteneva la massima certezza nelle previsioni di tutto l’anno.

In caso di incertezza o contrasto, i segni de S. Paolo scioglievano ogni dubbio.

La luna

La luna costituiva un punto di riferimento continuo dell’osservazione meteorologica contadina, come spiega il detto: ogni giorno gh’è na luna, ogni giorno se ghe ne impara una.

Sull’influsso lunare non esistono soltanto degli enunciati di principio o delle affermazioni generiche, ma si possono trovare nella tradizione orale precise indicazioni sulle applicazioni pratiche del ciclo lunare alle diverse coltivazioni.

La luna comanda ai cristiani, a le bestie e a la roba, ammonisce il detto.

 Mossa

Quando il tempo cambia, secondo la mentalità contadina el se move, si muove. Quindi ogni cambiamento meteorologico è preceduto da una mossa, che può essere indicata dal vento, dalle nuvole sull’orizzonte, da particolari aspetti della luna, zercolo distante o darente, il cerchioni vapori vicino o lontano,ecc.

Le previsioni

Le “previsioni” meteorologiche dei contadini si basano nella loro più profonda verità sull’osservazione della periodicità dei fenomeni atmosferici su un dato territorio che influiscono sulla temperatura, provocando delle “regressioni” xhe possono essere calcolate con relativa facilità.

I contadini dividono l’anno in due periodi, el fredo e el caldo. Questo comporta una regola precisa: nella prima parte dell’anno, la temperatura va, normalmente, dal minimo (epifania el pi gran fredo che ghe sia), al massimo (S. Lorenzo de la gran calura), ma la valutazione delle medie stagionali di un certo periodo denunciano fenomeni di regressione. Così nella seconda parte, dal massimo (S. Lorenzo) al minimo (Epifania) si hanno condizioni e fattori retrogradi (S.Michele, S.Martino, ecc.).

Anche il più elementare testo ci spiega che el caldo e el fredo dipendono dalla intensità delle radiazioni solari in rapporto diretto o indiretto con altri fattori che portano modificazioni e cambiamenti a volte sostanziali. L’attenta osservazione di chi, come il contadino, al tempo sapeva legata la propria sopravvivenza, aveva individuato questi periodi, indicandone anche i fattori e gli elementi atmosferici del cambiamento o delle mutazioni, li ha classificati secondo una logica empirica.”affettiva”, in cui l’uomo si sente coinvolto in modo totale.

Semina

La Quarantia

La quarantia segna la meteorologia compresa in un arco di tempo di quaranta giorni.

Nel concetto di quarantia si sommano l’osservazione meteorologica dei periodi brevi con l’interpretazione delle fasi lunari. Per questo la quarantia resta legata ai fenomeni atmosferici considerati per se stessi, sia alla loro dipendenza a fattori concomitanti.

Infatti, le quarantine possono sovrapporsi e anche annullarsi, e rappresentano un modello di lettura dei vari influssi naturali sulla formazione del tempo. E’ evidente la loro importanza sul piano delle previsioni meteorologiche sull’andamentoio dei raccolti e sui comportamenti sociali. Le indicazioni della quarantia “segnavano” la crescita dell’erba, il ritorno degli uccelli, la maturazione del grano, il periodo delle semine, come le regole precise che comandavano l’uso delle scorte della stalla, della casa, le scadenze contrattuali e tanti altri aspetti della vita contadina.

I mutamenti meteorologici all’interno della quarantia erano previsti da segni particolari, individuabili attraverso l’osservazione e l’esperienza. Riferiti, in genere, al nome del santo di cui si celebrava la ricorrenza, dominati sempre e comunque dalla potestà de la luna. Che variava con le fasi lunari, con el farse de la luna.

La quarantia rappresenta per l’uomo dei campi una breve “stagione” con caratteristiche di massima che rispondono alla logica delle possibilità. I detti proverbiali sono una guida interpretativa del tempo, ma la loro esatta lettura viene affidata all’esperienza e all’osservazione. Infatti, “se” e “quando”  sono i modi di introdurre ogni espressione riferibile a na moesta, un cambiamento del tempo. Secondo l’esatta interpretazione contadina, i proverbi meteorologici devono essere considerati delle “leggi” empiriche, non delle “formule” dal sapore “magico”, né misurare l’ambivalenza di certi modi di dire come uno strano gioco degli “antichi padri” sul tempo.

Le quarantie sono dodici, considerando che le quarantie di S. Urbano e di S. Gallo sono doppie. Vengono espsote seguendo il calendario comune.

  • La quarantia de la zeriola (Candelora)
    (2 febbraio – 13 marzo)

segna la fine “stagionale” dell’inverno: a Zeriola de l’inverno semo fora, l’inverno è finito, ma l’aprirsi della buona stagione trova difficoltà per il tempo incerto (tra nugolo e seren).

  • La quarantia de S. Matia
    (23 febbraio – 3 aprile)

determinata da una prevalenza del vento sugli altri elementi atmosferici: se venta a S. Matia, venta par na quarantia.

  • La quarantia de S. Gregorio
    (12 marzo – 18/20 aprile)

in pratica un prolungamento dim quella di S. Matia, sempre che si verifichi la coincidenza meteorologica del tri e del dodase marzo, del tre e del dodici: se venta al tri e al dodese.

  • La quarantia dei Quaranta Santi
    (11 marzo – 18 aprile)

con la predominanza della pioggia e del vento e punte regressive della temperatura: se piove al  dì dei Quaranta Santi aqua par altrettanti. 

  •  La quarantia dei tri aprilanti
    (3 aprile – 13 maggio)

può svilupparsi in concomitanza delle quarantine precedenti, che sono ancora in atto: quella dei venti (quarantia de S, Gregorio) e quella della pioggia (quarantia dei Quaranta Santi). Tale influenza si collega e accentua ai fenomeni regressivi della temperatura delle zinquine che attestano un tempo di burrasca. Come i tri apreilanti, quarante de somiglianti.

  • Le do quarantie de Sant’Urban
    (15 maggio –24/25 luglio)

con prevalenza regressiva della temperatura nella prima fase, i setoni de maio (7 / 17 / 27), detta nell’ultima parte inverno de i cavalieri (secondo e terzo seton) , periodo che chiude la prima quarantia de Sant’Urban; con predominio della calura in giugno, seconda quarantia de Sant’Urban, fino al segno de San Joan.
Sant’Urban tempo bon par el gran.

  • La quaranta de Sant’Ana
    (26 luglio – 2 settembre)

caratterizzata da “pioggia periodica”: l’aqua de S. Vincenzo (5 agosto); la piova de S. Lorenzo, dopo la calura (10 agosto);l’aqua de la Madona (15 agosto), oppure de S. Roco (16 agosto); l’aqua de S. Bartolomio (25 agosto).

  • La quaranta de S. Gregorion (Gregorio Magno)
    (3 settembre – 15 ottobre)

detta anche quarantia de la luna settembrina, con l’istadela de S. Michele, e il tempo relativamente secco all’inizio (sete brènte) e piogge intense alla fine (brentòn). Se piove a San Gregoriòn, sete brente e un brentòn.

  • Le do quarantie de S.Gal
    (16 ottobre –25 dicembre),

la prima determinata dall’influsso dei “Santi”, in particolare da quelli di novembre (Ognisanti, San Colombano, S. Clemente, S. Caterina);la seconda, dalla quarantia de S. Bibiana che, tuttavia, non appare determinante. El tempo de S. Gal dura fin a Nadal.

  •  La quarantia de S. Bibiana
    (2 dicembre – 12 gennaio)

che sottolinea una progressione del freddo, sotto l’influsso di fattori atmosferici che possono portare la neve a San Nicola (6 dicembre) e gran freddo a S. Lucia (13 dicembre). A Santa Luzia el fredo crùzia. A seconda delle coincidenze delle previsioni tra la prima fase delle kalendre (1-12 gennaio) e la seconda (13 –24 gennaio) la quarantia può durare ancora na settimana, cioè fino al 20 gennaio, quando inizia la zinquina prima dei segni de S. Paolo. Se piove a S. Bibiana, piove quaranta di e na settimana,

Segni

Ci sono, nel discorso meteorologico contadino, delle espressioni che possono far capire con precisione il significato di “segno”: gh’è el tempo che segna, il tempo che cambia; l’è in mossa; oppure, gh’è de la mossa, si intravedono gli elementi di un cambiamento, come la luna in moia, la luna nuova in un periodo umido, zercolo distante o darente, il cerchio di vapori attorno alla luna, i fumi, il comportamento degli animali, lo “stato” degli oggetti e così via.

Il “segno” vero e proprio è tuttavia sempre astronomico: el tempo el s’ha messo in stela; gh’è le stele fisse; la luna ciara; oppure meteorologico, el vento de S. Matia; l’aqua de Sant’Ana; nibia alta, nibia bassa, ecc., mentre tutte le altre indicazioni legate alla previsione del tempo sono solamente mostre, avvertimenti, indicazioni, anche se nel bersaglio delle conoscenze comuni vengono detti “segni”.

Il segno quindi indica l’elemento naturale che può favorire o determinare un mutamento del tempo ed è l’espressione dell’osservazione meteorologica contingente, raffrontata all’esperienza, alle “regole” di interpretazione della tradizione orale

I “segni” più noti e popolari sono, senza alcun dubbio, i segni de S. Paolo, comunemente detti S. Paolo de i segni, quasi a imputare alla taumaturgia dell’Apostolo l’influsso che essi possono avere sulle condizioni del tempo di un intero anno.

Da Coltro D., Sapienza del tempo contadino, Venezia, 1980, pp. 69-71.

 

BIBLIOGRAFIA

Coltro D. (1980) Sapienza del tempo contadino, Venezia, pp. 69-71.