La fauna: gli invertebrati

di Marco Uliana

Ingiustamente etichettati con l’appellativo di ‘fauna minore’ e spesso relegati, come insignificanti o indesiderabili, in un cantuccio della letteratura divulgativa e, cosa anche peggiore, dei documenti tecnico-gestionali dell’ambiente, gli invertebrati si impongono decisamente poco all’attenzione del pubblico e meritano di certo qualche considerazione in più. Anche perché il loro impatto sulla nostra vita è enorme, ed estremamente diversificato: si passa dalle specie che con il loro lavoro silenzioso collaborano in modo determinante al mantenimento dell’equilibrio ecosistemico a specie evidentemente tanto utili da essere addirittura indispensabili (anche all’economia), come sono quelle impollinatrici. Non mancano certo gli insetti dannosi o fastidiosi, la cui presenza si ripercuote pesantemente non solo sulle attività produttive, ma anche su quelle ricreative: si pensi, ad esempio, al fastidio delle zanzare o al pericolo delle vespe, che a volte ci impediscono di godere appieno delle giornate estive. E visto che si parla di attività ricreative, perché non ricordare che fra gli invertebrati ce ne sono anche tanti che allietano le nostre scampagnate all’aperto? Perché, da sempre, le ali variopinte delle farfalle o il volo ubriaco delle libellule riempiono di meraviglia gli occhi dei bambini, e la metamorfosi di un bruco in farfalla riesce ancora ad essere motivo di stupore per quanti si permettono di avvicinarsi con curiosità a questi aspetti modesti, ma non per questo meno spettacolari, del nostro territorio.

Giusto per avere un’idea della fauna di cui stiamo parlando, si possono considerare i gruppi di insetti meglio conosciuti, ed estrapolare, partendo da questi, quante siano le specie di ‘macroinvertebrati’ (molluschi, anellidi, aracnidi, centopiedi, millepiedi, crostacei ed insetti) che popolano l’area della Saccisica: ebbene, si arriva ad una stima (approssimata per difetto) che raggiunge almeno le 4000 specie. Non è poco, specialmente se si considera che le specie di vertebrati (pesci, anfibi, rettili, uccelli, e mammiferi) viventi in Italia, comprese le specie marine, sono ‘appena’ 1257. Naturalmente, la grande maggioranza di queste 4000 specie non è mai stata censita ‘ufficialmente’ nell’area di nostro interesse, tuttavia possiamo confidare che questo valore sia più o meno corretto, confidando sui rapporti numerici, grossomodo costanti, che si mantengono fra i diversi gruppi zoologici che compongono la fauna del nostro Paese.

La stima fornita potrebbe sembrare esagerata e potrebbe sembrare improbabile che l’ambiente naturalisticamente banalizzato ed impoverito che caratterizza buona parte del territorio della Saccisica (e della rimanente bassa pianura veneta) possa ospitare un numero così elevato di specie. Certamente di questa miriade di animaletti, spesso lunghi solo qualche millimetro (se non meno), quasi nessuno si impone alla nostra attenzione, per cui è piuttosto difficile rendersi conto della diversità di specie effettivamente presente negli ambienti in cui viviamo. D’altra parte, solo una piccola frazione di questa fauna frequenta i giardini, gli orti o i campi: molti invertebrati (che fortunatamente riescono a sopravvivere a lungo anche all’interno di aree molto ristrette) sono relegati a piccoli lembi di ambiente seminaturale, in continua riduzione, che trovano spazio a margine delle aree più intensamente sottoposte allo sfruttamento antropico e quindi degradate dal punto di vista ambientale. Certamente, nella stima sopra proposta è compreso un certo numero di specie che nei decenni scorsi si sono ‘estinte’ dal territorio della Saccisica (cioè sono definitivamente scomparse in seguito all’alterazione dei loro ambienti di vita) e un certo numero di specie confinate, chissà, ad un piccolo lembo erboso o ad un fossato, in balia del primo dissodamento o della prima siccità.

Nell’impossibilità di descrivere anche per sommi capi gli invertebrati che caratterizzano l’area della bassa padovana preferiamo anzitutto proporre due approfondimenti, relativi a due ambienti e a due specie di particolare pregio (nonché di interesse legislativo) che meritano di essere conosciute e conservate. Infine non ci sembra fuori luogo presentare qualcuno degli insetti che più facilmente si possono incontrare nelle nostre campagne, vuoi per la loro abbondanza, vuoi per l’aspetto vistoso e caratteristico che li rende facilmente oggetto di curiosità.

I vecchi alberi e Osmoderma eremita

Come si accennava prima, molte specie sono limitate ad aree seminaturali di evidente valore naturalistico (ad esempio, la palude di Cà di Mezzo a Codevigo o il bosco di via Breo a Piove di Sacco), che rappresentano per gli invertebrati, ancor più che per i vertebrati, importanti aree di rifugio. D’altra parte, alcuni invertebrati di un certo interesse si accontentano anche di spazi più modesti per sopravvivere, riuscendo a mantenersi in aree di non ovvio pregio conservazionistico.

Melitaea phoebe (farfalla) e Tropinota squalida (Coleottero)
Melitaea phoebe (farfalla) e Tropinota squalida (Coleottero)

È questo il caso delle specie legate ai filari alberati che bordano i campi o il cortile delle case di campagna, ed in particolare alle piante di salice (Salix alba) che ne sono la pianta più tipica. Le salicacee, cui appartengono salici e pioppi, sono fra le piante più appetite dagli insetti che si nutrono di foglie (le altre specie arboree tipiche dei nostri campi lo sono in misura minore, mentre il platano e la robinia non lo sono affatto) e in effetti sulle fronde dei pioppi e dei salici che bordano i campi della Saccisica si sviluppano i bruchi di almeno una cinquantina di farfalle, quasi tutte notturne; fa eccezione la bella Apatura ilia, con le ali disegnate di bruno e di ruggine e ornate, nei maschi, da violenti riflessi di color viola metallico. Questa farfalla, di difficile osservazione (non frequenta i fiori) è tipica dei boschetti ripari e si incontra da noi, sempre più rara, lungo i filari di salice.

Ma le componenti faunistiche più preziose non sono certo quelle che si nutrono di foglie, bensì quelle che si nutrono di legno morto e che hanno bisogno, per sopravvivere, di grossi alberi un po’ malandati (fattore che ne limita la diffusione e ne rende più pregevole presenza). Fra questi insetti ve ne sono anche alcuni ben noti nella cultura popolare, come il coleottero cerambicide Aromia moschata, lungo fino a 3,5 cm e caratterizzato dal colore verde o bruno metallico, da due lunghe antenne e, soprattutto, dal penetrante odore di muschio. Questo insetto, legato specialmente ai salici e un tempo molto comune, è noto localmente come nèo e si usava, un tempo, per profumare il tabacco da fiuto o i cassetti della biancheria. Altro cerambicide cui è stato attribuito un nome vernacolare è Morimus asper, localmente detto scurzapaje (cioè accorcia-paglie). Questo grosso insetto di colore nero, che sviluppa allo stato larvale nel legno di salici e pioppi, deve il suo nome dialettale alle poderose mandibole a tenaglia in grado di troncare con facilità gli steli d’erba e i ramoscelli con cui i bambini erano soliti stuzzicarlo per gioco.

Eurydema oleraceum
Eurydema oleraceum

Esiste, infine, un certo numero di insetti che si sviluppano esclusivamente negli alberi cavi, all’interno del terriccio scuro che essi contengono e che deriva dalla decomposizione del legno morto e delle foglie che vi cadono dentro. Fra queste specie un posto d’eccezione spetta indubbiamente ad Osmoderma eremita, capillarmente diffuso nelle campagne della Saccisica. Si tratta di una coleottero appartenente alla famiglia dei cetonidi, di colore bruno nero, lucido, di grosse dimensioni (può misurare fino a 3,5 cm), ma quasi impossibile da osservare in natura. Come dice il suo nome, vive un po’ da ‘eremita’, isolato all’interno delle cavità degli alberi da cui non esce quasi mai: sebbene questa specie sia in grado di volare non è raro che un individuo passi tutta la sua vita nello stesso albero, senza mai abbandonarlo. Lo sviluppo delle larve, simili a grossi vermi bianchi curvati a forma di ‘C’ e con la testa color arancio, richiede due o (più di frequente) tre anni, ed avviene all’interno delle suddette cavità. Nelle campagne padovane sono interessati soprattutto salici, ma in linea di massima tutte le latifoglie possono ospitare questo insetto.

Il nutrimento delle larve è costituito dal terriccio che riempie l’albero e dal legno marcescente che esse grattano via dalle pareti stesse della cavità. Con l’approssimarsi dell’autunno del secondo o del terzo anno di sviluppo la larva si rinchiude all’interno di un robusto bozzolo a forma di uovo, fatto di terriccio e di escrementi pressati, e vi rimane fino all’anno successivo. A metà primavera essa diventa una pupa (l’equivalente della crisalide delle farfalle) ed alla fine di maggio si forma l’adulto, che rompe il bozzolo e va incontro ad una vita sorprendentemente breve (si prolunga, nelle femmine, al massimo fino alla metà di agosto). Ciascuna femmina depone, una ad una, fino a un’ottantina di uova sul fondo della cavità, emergendo in superficie rarissime volte. I maschi, invece, sono più attivi e durante le ore pomeridiane si portano spesso in superficie arrampicandosi pigramente sulle pareti della cavità o sulla corteccia intorno all’imboccatura. Qui si ergono sulle zampe ed emettono un odore caratteristico, gradevole e molto intenso, che si può percepire anche a svariati metri di distanza e che permette di localizzare la presenza di questo insetto. È stato dimostrato che questo profumo rappresenta una forma di comunicazione intraspecifica (cioè indirizzata ad altri individui della stessa specie), ma non è ancora chiaro quale sia il suo preciso significato. Gli adulti sono molto timidi e, all’avvicinarsi di una persona, rientrano nella cavità, interrandosi rapidamente.

Osmoderma eremita rappresenta una specie in cui le esigenze ecologiche si combinano in modo paradossale: per la sua sopravvivenza non servono altro che vecchi alberi cariati. Intorno ci possono essere campi di mais, giardini, cemento o quant’altro. Purtroppo, a questa indifferenza verso l’ambiente esterno all’albero si contrappone la delicatezza e la continua rarefazione del suo ambiente di sviluppo: un vecchio albero cariato può essere abbattuto molto rapidamente, ma un suo sostituto impiega svariati decenni prima di poter ospitare questo insetto.

Per questi motivi, e per la sua capacità di rappresentare altre specie legate indissolubilmente a questo prezioso ambiente, O. eremita è legalmente protetto dalla comunità europea attraverso la Direttiva 92/43/CEE ‘Habitat’ (recepita anche dal nostro paese), che lo elenca fra le specie di interesse prioritario. La sua presenza richiederebbe la designazione di zone speciali di conservazione.

Nel territorio rurale questa pregevole specie trova un ambiente ottimale per il suo sviluppo nei vecchi salici capitozzati ad altezza d’uomo o più in alto (la capitozzatura favorisce la formazione di una cavità), testimoni di una gestione del patrimonio arboreo ormai in disuso: la ridotta necessità di legna da ardere e di paleria da utilizzare nei lavori agricoli rende inutile e scomodo il mantenimento dei filari alberati, che vengono progressivamente abbattuti. Cancellando in pochi minuti una testimonianza faunistica vecchia di secoli ed estremamente difficile da ripristinare.

 

Le aree umide e Lycaena dispar

Aegosoma scabricorne
Aegosoma scabricorne

Non può mancare un accenno ad uno degli ambienti tipici della bassa pianura degradante verso le valli da pesca: quello delle zone umide. Ridotte ormai a pochissimi lembi relitti, le zone umide rimaste consistono principalmente in fossati e canali artificiali, talvolta dotati di sponde ripide e assolate che creano una condizione del tutto innaturale ed inadatta all’insediamento, in queste potenziali aree di rifugio, della flora e della fauna delle zone umide. Alcune osservazioni faunistiche condotte durante il ‘900 lungo la gronda lagunare (territorio assimilabile a quello della Saccisica) hanno permesso di rilevare gli evidenti cambiamenti faunistici conseguenti alle opere di bonifica dei prati umidi e di documentare estinzioni ‘eccellenti’, come quella del grande Carabus clathratus, un raro coleottero legato alle zone umide osservato per l’ultima volta alla fine degli anni ’30 nella zona di Mestre. Ancora oggi è possibile rinvenire nei canneti o nei prati umidi circostanti una specie simile alla precedente, ma meno esigente, il Carabus granulatus (presente, ad esempio, a Cà di Mezzo) cui si affianca un numeroso corteggio di specie legate alle rive dei fossati, ai terreni fangosi, o alle piante delle zone umide. Un carattere che favorisce la sopravvivenza di molti insetti delle aree umide è la loro generale propensione al volo: l’evoluzione li ha dotati di un comodo mezzo per spostarsi in caso di prosciugamento del loro ambiente di vita (evento tutt’altro che raro, anche in assenza di interventi antropici). E’ per questo che creando una zona umida artificiale essa si popola rapidamente di insetti paludicoli (posto che vi siano dei ‘serbatoi’ di queste specie nelle vicinanze).

Lycaena phlaeas
Lycaena phlaeas

Fra le specie legate a stagni e fossati va certamente ricordata Lycaena dispar (appartenente alla famiglia dei licenidi). Questa farfalla, di dimensioni medie ma vivacemente colorata di arancio brillante e di bruno, viene chiamata ‘licena delle paludi’, poiché è tipica di questi ambienti. L’associazione fra questa licena ed il suo biotopo passa attraverso le piante nutrici dei bruchi, i quali, simili a lumachine verdi, si alimentano di piante erbacee dei generi Rumex e Polygonum che crescono nei prati umidi.

Questa bella specie è seriamente minacciata in tutta Europa dalla scomparsa del suo ambiente di vita ed è diventata uno degli emblemi delle minacce di distruzione e di degrado che gravano sui biotopi umidi in generale. In alcuni paesi settentrionali, addirittura, L. dispar si è estinta. In Gran Bretagna (dove è scomparsa nella seconda metà dell’800) sono stati fatti dei tentativi di reintroduzione, mentre in molte altre aree le sparute popolazioni rimaste, minacciate, fra l’altro, dal reciproco isolamento, sono oggetto di accurati censimenti annuali. In Italia è diffusa nelle regioni centrali (con popolazioni molto localizzate) e in quelle settentrionali, che costituiscono una delle aree europee più intensamente popolate da questa specie. Per la sua vulnerabilità e per la sua capacità di indicare la ‘buona salute’ degli ambienti umidi questa specie è protetta a livello internazionale dalla Direttiva 92/43/CEE ‘Habitat’, all’interno della quale viene considerata come specie prioritaria.

Nel territorio della Saccisica Lycaena dispar si osserva, di solito, in individui occasionali che si vedono volare lungo i fossati.

Una grave minaccia alla sua sopravvivenza è costituita non solo dalla riduzione delle zone umide, ma anche dall’evoluzione naturale di quelle presenti: l’invasione dei prati umidi da parte della cannuccia palustre, infatti, impedisce la crescita delle sue piante nutrici. Questa tendenza allo sviluppo dei canneti, oggi incontrastata, veniva un tempo limitata dalla raccolta della cannuccia che veniva tradizionalmente impiegata nella costruzione delle arelle.

Incontri frequenti

Considerato il numero di specie discusso nella parte introduttiva è evidente che fornire una trattazione, anche sommaria, degli invertebrati che popolano il territorio della Saccisica esula dalle intenzioni e dalle possibilità di questo volume. Abbiamo comunque pensato di fare cosa gradita illustrando alcuni degli insetti che più facilmente si prestano ad un ‘incontro ravvicinato’.

Alla fauna dei vecchi alberi, già trattata in precedenza, aggiungiamo Dorcus parallelipipedus, parente piccolo e goffo del più famoso e spettacolare cervo volante. Le larve si nutrono scavando cunicoli nel legno fradicio e reso tenero (oltre che nutriente) dall’attacco di funghi decompositori; non è raro, tuttavia, incontrare gli adulti (che vivono molto a lungo) mentre arrancano nei giardini o lungo le strade, lontani dal loro ambiente di sviluppo.

Spostandoci negli ambienti prativi, gli invertebrati più vistosi diventano di certo le farfalle diurne, presenti nel nostro territorio con almeno una trentina di specie. A Lycaena dispar, la rappresentante più ‘nobile’ di questa fauna, si affiancano molte altre farfalle spesso associate a prati più aridi, come sono in genere quelli che si estendono sugli argini. I loro bruchi si nutrono di una grande varietà di erbe spontanee: l’elegante Pieris daplidice, si sviluppa su brassicacee, come le cavolaie con cui è imparentata, Melitaea didyma e l’affine M. phoebe sono legate alle piantaggini (Plantago sp.), Polyommatus icarus, la comune farfallina azzurra, si nutre di trifoglio o altre leguminose e Coenonympha pamphilus si sviluppa su varie graminacee.

Fra le farfalle tipiche di giardini e frutteti spicca Saturnia pyri: è la più grande farfalla europea e raggiunge dimensioni davvero spettacolari: ad ali aperte può toccare i 15 centimetri. Purtroppo, sviluppandosi esclusivamente su alberi da frutta (specialmente pruno e pero) si tratta di una specie generalmente rara: la sua sopravvivenza è minacciata dagli immancabili trattamenti insetticidi. Stesse abitudini e stessa sorte toccano ad Iphiclides podalirius il quale, frequente sugli Euganei, viene osservato solo sporadicamente in pianura. E’ curioso che, nell’800, il podalirio fosse una specie infestante dei frutteti del Padovano, tanto che si rendeva necessario distruggerne manualmente le larve.

Saturnia pavoniella
Saturnia pavoniella

Al contrario, si può incontrare ancora di frequente Papilio machaon, la più bella farfalla della nostra zona. I suoi bruchi si nutrono di ombrellifere ed è facile osservarli sulle foglie delle carote e dei finocchi, dove risultano ben visibili per la colorazione vistosa (verde con disegni neri e arancio). L’inconfondibile Vanessa atalanta, pur nutrendosi di ortica, è spesso presente nei giardini perché gli adulti sono ghiotti degli essudati che colano dalla frutta matura. Fra gli ospiti delle aiole fiorite suscita sempre una certa curiosità un bizzarro essere che visita i fiori senza mai toccarli, sostenuto da un volo rapido e silenzioso che ricorda quello di un colibrì. In realtà si tratta di Macroglossum stellatarum, una farfalla appartenente al gruppo delle sfingi, tutte caratterizzate dalla capacità di mantenere un volo stazionario e di succhiare il nettare dai fiori usando una proboscide lunghissima, spesso più del corpo.

Come le farfalle, anche le libellule (note in dialetto come ‘pajoni‘) rappresentano uno degli elementi faunistici più amati nella cultura popolare e la Saccisica, ampiamente percorsa da canali e da fossati, rappresenta un ambiente ideale per questi insetti dalla vita anfibia che trascorrono la loro vita larvata nelle acque stagnanti. Le specie del genere Sympetrum, di colore giallo o rosso acceso, frequentano spesso i giardini e si possono osservare in sosta su pali o su altri posatoi ben elevati, da cui controllano l’ambiente circostante. Le specie del genere Aeshna, veri giganti fra le nostre libellule, sono invece più difficili da avvicinare: sostano di rado e hanno un carattere molto diffidente. E’ più facile vederle in aria, mentre pattugliano per ore e ore, instancabilmente, il territorio di caccia, sostenute da un volo scattante e potente. Altri giganti della nostra fauna sono l’enorme cavalletta Anacridium aegyptium, che compare numerosa in autunno e che nonostante l’aspetto impressionante può difendersi al massimo con qualche calcio delle zampe spinose, e Xylocopa violacea, sorta di grossa ape nera ad ali viola che nidifica all’interno di pali secchi e si vede spesso bottinare sui fiori.

Nonostante le piccole dimensioni, fra gli insetti più colorati del verde domestico si fanno notare Graphosoma lineatum, specie di cimice colorata che compare a giugno sui fiori di sedano e di altre ombrellifere e Lilioceris lilii, un coleottero laccato di rosso che rosicchia le foglie dei gigli e di altre piante affini.

Protaetia aeruginosa
Protaetia aeruginosa

Scendendo verso dimensioni ancora più piccole troviamo le coccinelle, anch’esse sempre ricordate nella cultura popolare e presenti da noi con almeno una dozzina di specie, fra cui quella rappresentata, Hippodamia variegata. Non tutte si nutrono di afidi, come comunemente si racconta: alcune preferiscono il polline, come fa anche il coleottero Oedemera nobilis. Esso si sviluppa, da larva, nel legno marcescente, per poi trasferirsi, una volta adulto, in un più ‘gradevole’ contesto floreale, dove sfoggia le sue tinte metalliche nelle ore più calde della giornata. E all’imbrunire, quando la temperatura rinfresca, la fauna variopinta dei fiori tace per lasciar posto ad animaletti dall’aspetto dimesso, come Amphimallon assimilis, simile a un piccolo maggiolino, che nelle sere di giugno vola rasoterra anche nei giardini falciati a puntino a fianco delle abitazioni, indifferente alla nostra vicinanza e noi ignari della sua.