Gli orti di Codevigo e Chioggia

di Marco Boscolo Bachetto

Gli orti litoranei

Il legame tra zona litorale e orticoltura è determinato dalla presenza di terreni sabbiosi e la presenza di una falda acquifera piuttosto superficiale (-50 cm) che è in grado di assicurare l’approvvigionamento idrico per gli orti, grazie alle cosiddette buse ancor’oggi diffuse un po’ ovunque nel territorio litoraneo, dove in certi casi, rappresentano la sola fonte di approvvigionamento non essendo tutti gli appezzamenti ortali serviti dalla rete irrigua consorziale. A favorire nell’ultimo secolo l’espansione del settore orticolo hanno contribuito notevolmente le opere della bonifica agraria cosiddetta “integrale”, attraverso la costruzione di impianti irrigui collettivi, idrovore, e le relative canalizzazioni di asciugamento o di irrigazione, che interessarono la gran parte del territorio agricolo, ad eccezione della zona di Ca’Rossa e della Pelassa.

Il caratteristico terreno sabbioso è senz’altro quello che meglio si presta alla coltivazione degli ortaggi a radice (tuberi, bulbi e fittoni) come la patata, la cipolla, la carota e la “barbabietolina rossa”. Il terreno sabbioso favorisce un buon drenaggio con un veloce sgrondo dell’acqua piovana, consentendo l’esecuzione delle normali lavorazioni del terreno con una certa facilità e tempestività con qualsiasi condizione meteorica come ad esempio dopo un’abbondante pioggia. D’altro canto in questi suoli, proprio a causa rapido drenaggio e della conseguente scarsa trattenuta dell’umidità, specie nei periodi siccitosi, occorre intervenire con irrigazioni frequenti e abbondanti. La sabbia, inoltre, essendo poco compattabile rispetto all’argilla e al limo, si presta meglio all’utilizzo dei mezzi agricoli pesanti come i trattori di grossa stazza: un aspetto questo molto importante per l’orticoltura del posto, dove si è soliti intervenire con attrezzature per la forzatura delle colture come i tunnel e le serre o con macchine agricole pesanti, senza così che si verifichino problemi di costipazione del terreno.

Orti a Brondolo
Orti a Brondolo

Il clima che caratterizza gli orti litoranei comporta la presenza di brezze marine che favoriscono un rimescolamento degli strati bassi dell’atmosfera – migliorando l’arieggiamento delle coltivazioni – con il conseguente minor rischio di attacchi di malattie fungine. Grazie all’insieme di tutti questi fattori, tipici dei litorali, si riesce a produrre anticipatamente certe primizie, il radicchio rosso precoce nei mesi di aprile e maggio e le famose castraure.
C’è tuttavia un risvolto della medaglia, in quanto l’ambiente sabbioso presenta degli inconvenienti, necessitando di un importante apporto di sostanza organica, soprattutto di letame che ne migliora notevolmente la struttura chimico-fisica e microbiologica con un sensibile aumento della fertilità e di conseguenza della resa produttiva.
Rispetto ai terreni pesanti come quelli limosi e argillosi, il terreno sabbioso è il meno fertile per la scarsa presenza di elementi nutritivi necessari alla crescita delle piante; pertanto occorre integrare il terreno con maggiori apporti di fertilizzanti, senza tuttavia abusarne, specie per quanto riguarda l’uso dei concimi azotati che ridurrebbe la capacità di mantenimento e della conservazione dei prodotti orticoli, con conseguente veloce deperimento del prodotto orticolo finito e confezionato, anche se opportunamente refrigerato.

Gli orti lagunari

Gli orti lagunari sono definiti salse o delle tere salate, perché situati nelle immediate vicinanze della Laguna di Venezia. Questi terreni, che si trovano lungo la fascia ovest del litorale, nelle isole interne della Laguna di Venezia e ad ovest del bacino lagunare sono gli “orti storici di Chioggia”, ossia quelli più antichi a cui si rifacevano gli antichi viaggiatori Romani. Le terre lagunari sono caratterizzate dalla presenza di un substrato di natura limosa, calcarea, di colore scuro, ricco di humus, cioè di sostanza organica accumulatasi negli anni grazie agli apporti da parte dei ortolani di un tempo, di materiali quali la composta, ossia le scoasse, gli scarti dell’umido, il letame oltre ad altre sostanze ammendanti (che migliorano le caratteristiche fisiche del suolo) come ramaglie, residui colturali e foglie (Pagani & Gallimberti, 1929). I terreni lagunari sono terreni antichi vocati alla coltivazione di erbaggi e ortaglie (verdure o ortaggi a foglia), purché questi siano in grado di tollerare la salinità del terreno, data dall’elevato contenuto di cloruro di sodio, il comune sale da cucina. È comunque la presenza di limo e argilla a renderli plastici e malleabili.

L’argilla e l’humus si comportano come una spugna, assorbendo una gran quantità d’acqua, consentendone il trattenimento nel substrato. Per questa ragione sono considerati terreni freschi, meno esigenti d’acqua di quelli sabbiosi, tendenti ad allagarsi con le piogge, avendo scarse capacità di drenaggio.
Gli ortaggi, che nella storia hanno resi celebri questi territori, sono: il carciofo violetto di Chioggia, i cavoli (specie i cappucci), le verze, le “tegoline”, i fagioli, i peperoni, la catalogna gigante di Chioggia, il sedano verde di Chioggia, il prezzemolo, il cetriolo, la bieta da coste e la rinomata zucca marina di Chioggia. Sfortunatamente questi orti sono oggi quasi del tutto scomparsi. Tuttavia, grazie all’ampiezza dell’area perilagunare, questi orti si sono in parte salvati dalle trasformazioni ambientali apportate dell’uomo in altre località lagunari come Sant’Erasmo, Vignole, Lio Piccolo, Lio Maggiore, ecc.
Per quanto riguarda i terreni del nostro territorio nelle località di Valli di Chioggia, Piovini e Conche di Codevigo, pur essendo posti in aree di gronda perilagunare, non possono essere definiti orti lagunari in senso classico essendo questi di recente formazione, risalendo al periodo della reimmissione in laguna del fiume Brenta nella metà del XIX secolo.

Gli orti  del codevighese

Tra gli abitanti dei due territori contermini e per certi versi molto simili, ossia quelli di Conche di Codevigo e di Valli di Chioggia*, la tradizione della coltivazione orticola è molto viva, come traspare nelle feste paesane dell’asparago di Conche a fine maggio e quella autunnale del “radecio” a cavallo tra settembre ed ottobre. Questi eventi, particolarmente sostenuti dalla Banca di Credito Cooperativo di Piove di Sacco, sono organizzati dal Gruppo Culturale Ricreativo di Conche che è in buona parte costituito dagli stessi produttori orticoli che non a caso sono anche soci della Cooperativa Agricola Produttori Orticoli (CAPO) operanti in zona. Fra le curiosità delle feste orticole promosse dai soci della CAPO ci sono i concorsi per mettere i evidenza “le meraviglie” dei prodotti come il concorso del miglior mazzo di asparagi verdi e banchi, il turione più grande, oppure, la miglior cassetta di radicchio rosso, bianco e trevigiano.

Coltivazione del Radicchio rosso di Chioggia
Coltivazione del Radicchio rosso di Chioggia

Le coltivazioni dell’asparago e del radicchio hanno avuto e stanno avendo un ruolo molto importante nello sviluppo economico del territorio tanto che l’orticoltura è oggi l’attività trainante del settore primario del codevighese, riuscendo ad imporsi dignitosamente sulle restanti realtà economiche similari nel panorama veneto. Se paragonata a quella chioggiotta l’orticoltura di Codevigo è una pratica relativamente recente; eppure questi due prodotti quali l’asparago e il radicchio, si sono affermati, più che nella vicina Chioggia, che è la zona di “origine” del radicchio, dove tuttavia non esiste alcun evento che celebri i “nobili” ortaggi. Le aziende orticole del codevighese, e questo va a loro onore, hanno saputo ben investire in questi anni sul capitale sia umano che economico e svilupparsi pur dovendo competere, talvolta duramente, con problemi del mercato. Molte aziende infatti confezionano il prodotto finito che viene così conferito nei normali canali commerciali o nei punti vendita contraddistinto da un’identificazione di chi lo produce, riportando in etichetta il logo che rappresenta una garanzia di rintracciabilità.

*In realtà le vicine località di Santa Margherita e Fogolana sono riconducibili al comune di Codevigo (Pd), mentre Piovini e Valli appartengono al comune di Chioggia (Ve).

L’orticoltura clodiense

Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) elogia la bellezza e la qualità degli orti di Clodia Minor, così come ne parla il celebre naturalista Plinio il Vecchio (I secolo d.C). nella sua Naturalis Historia in seguito alle testimonianze raccolte durante i suoi viaggi lungo il litorale Alto Adriatico in prossimità del Porto di Brundulum – nel tratto della Fossa Clodia – dove osservava la presenza di lussureggianti orti e vigne.
In un codice pergamenaceo veronese – scritto tra il 1567 e il 1689 – sono riassunti i Regolamenti della “Scuola degli Ortolani dell’antico territorio di Chioggia” (Simoni, 1993); trattasi di una Mariègola (Matricola o statuto) degli ortolani e dei vignaioli dell’antico territorio lagunare appartenente in quel tempo alla Città di Chioggia (Sandal, 1993). Nella Mariegola sono raccolte le leggi sistematiche riguardanti gli agricoltori riuniti in una associazione di mestiere detta Fraglia. Per più di due millenni gli ortolani chioggiotti e marinanti (questi ultimi sono gli abitanti di Sottomarina) hanno coltivato il litorale Alto Adriatico, conservandolo pressoché intatto per secoli, prima che questo assumesse la conformazione odierna ad opera degli apporti alluvionali dei fiumi Brenta e Adige. Fu quindi solo agli inizi del ‘900 che gli ortolani, spinti dalla forte domanda di ortaggi, iniziarono la ricerca di nuove “tere” da coltivare ad orto, spianando pressoché integralmente le dune sabbiose di recente formazione, chiamate monti o montoni. Il litorale venutosi così a creare è caratterizzato dalla presenza di sabbie derivanti dall’apporto dei detriti solidi dei fiumi Brenta e Adige. Forse è utile a questo punto ricordare che l’attuale foce del fiume Brenta risale solo a circa un secolo fa, mentre in precedenza essa sfociava a mare passando per Ca’ Lino imboccando il percorso dell’attuale Canale Busiola (Vecchio Brenta) a sud-est di Brondolo.

I sedimenti alluvionali dei fiumi portati in mare, una volta arrivati alla foce, subiscono l’azione di due forze contrapposte: una verso est – originata dalla corrente del fiume – e un’altra verso ovest – prodotta dalle onde del mare- così che la sabbia, di peso e dimensioni maggiori rispetto al limo e all’argilla, viene a depositarsi nelle immediate vicinanze della foce. Diversamente limo e argilla, più leggere, vengono sospinte verso il mare. Una caratteristica peculiare della formazione del litorale clodiense è la presenza di una sabbia silicea pura al 96%, una tra le più pure dell’intero bacino Mediterraneo.

Ma vediamo ora più in dettaglio alcuni dei prodotti che fanno grande l’orticoltura del nostro territorio (Provincia di Venezia, 2001; Da Re, 2003).

Carciofo violetto di Chioggia (Articioco Violeto de Ciosa)

Il carciofo comune (Cynara cardunculus; subspecie scolymus L.), appartenente alla famiglia delle Asteraceae o Compositae, fiorisce da giugno ad agosto. Il carciofo è una pianta commestibile nota fin dall’antichità, molto probabilmente nella subspecie cardunculus, raccolta allo stato selvatico, o coltivata in un tipo a foglie non spinose (varietà altilis). L’origine lessicale chioggiotta “articioco”, deriva dal latino articactus, come pure i derivati “articiochera” (carciofaia) e “articiocheto” (appezzamento di terra coltivato a carciofi).
La coltura di questa pianta perenne è iniziata a Chioggia tra il 1400 e il 1500. Il carciofo clodiense viene segnalato come coltura di pregio negli Atti notarili del catasto austriaco (1827): “I prodotti più importanti sono carciofi, ossia articiocchi, erbaggi d’ogni genere, aglio, cipolle, zucche di varie specie, e simili. Alcuni generi sono reputati dei migliori, specialmente gli articiocchi“.
Oltre alla denominazione “violetto di Chioggia”, all’epoca, veniva chiamato anche “violetto dell’estuario” da cui derivò il “violetto di Sant’Erasmo”, e sembrerebbe che il “carciofo di Chioggia” possa derivare dal “livornese”. La storica gelata del 1929 distrusse gran parte delle “carciofere” nostrane, che vennero successivamente sostituite dal più resistente “violetto di Toscana. Il fiore è di un bellissimo colore azzurro-viola che si può ammirare da giugno a luglio. La parte più prelibata del carciofo è la famosa castraura2, ossia l’infiorescenza apicale rappresentata dal primo capolino centrale che viene raccolto nel mese di aprile; preparato in tecia, secondo un’antica tradizione del nostro territorio con pomodoro e salsiccia. A fine estate la pianta si secca e muore. Dalle ascelle delle foglie spuntano dai tre ai quattro botoli, che sono leggermente più grandi delle castraure, poi i sotobotoli e infine a giugno le massete: dei veri e propri carciofi dai quali si estraggono i cosiddetti “fondi”, che se mangiati lessi e conditi con olio, pepe e formaggio salato, sono una vera e propria delizia per il palato. In autunno da sotto terra spuntano 3-4 carducci per pianta, giovani piantine che produrranno nell’anno successivo.

La carota di Chioggia (Garata, Ragata de Ciosa)

La carota comune (Daucus carota L.; subspecie sativus (Hoffm.)) appartiene alla famiglia delle Umbelliferae. Il tipo coltivato è originario del Medio Oriente, probabilmente dall’incrocio tra i ceppi delle subspecie carota x maximus (Desf.), nota ai Greci e ai Romani (Columella, 1977), ma spesso confusa con la Pastinaca (Pastinaca sativa, fam. Ombrellifere). La coltivazione della carota è strettamente legata ai terreni sciolti sabbiosi della fascia litoranea. Nel giro di qualche decennio dall’area di produzione originaria degli orti litoranei di Chioggia, alla ricerca di nuove superfici adatte alla meccanizzazione si è passati ai territori sabbiosi del rodigino, a quelli del ferrarese fino al ravennate, ove operano anche molti orticoltori di Chioggia. La semina che va per la maggiore è quella della coltura forzata di fine inverno che si prolunga fino a tutto febbraio, utilizzando la pacciamatura di nylon trasparente forato disteso “raso-tera“, oppure sotto i “tunnellini“, e infine può essere seminata a marzo in pieno campo. Un’altra possibilità è quella di ottenere produzioni a cavallo tra l’autunno e l’inverno mediante la semina in pieno campo nel mese di luglio. Da un ettaro di carote di norma si ricavano 450 quintali di prodotto.

Scopertura dei tunnellini
Scopertura dei tunnellini

Nel mese di maggio fino a metà giugno, in tutti i mercati italiani non vi è carota migliore e più fresca di quella chioggiotta. Fino agli anni ’60 la carota veniva venduta principalmente a Venezia tramite trasporto lagunare, poi in pochi anni è diventa la coltura leader di tutto il comparto orticolo chioggiotto oggi venduta in tutta Europa. Da diversi anni la produzione media nel Veneto si aggira sui 300.000 quintali annui, di cui circa la metà vengono prodotti a Chioggia e la restante metà nei territori litoranei della vicina provincia di Rovigo.

La patata di Chioggia (La Patata Bea de Ciosa)

Originaria del Cile e del Perù, dove venne coltivata dagli Incas, la patata comune (Solanum tuberosum L.), appartenente alla famiglia delle Solanaceae, venne introdotta in Spagna nel XVI secolo, mentre in Inghilterra la leggenda vuole che venisse importata dal celebre corsaro Sir Francis Drake nel 1586, ma a quanto pare si trattava della patata americana o patata dolce (Ipomea batatas). Il nome originario indio “papa” fu ripreso senza variazioni dagli spagnoli. In Italia come in altri paesi, venne storpiato in “patata”.
La coltivazione della “patata precoce” a Chioggia ha origini storiche molto antiche. In particolare la “Patate Bea de Ciosa” è una cultivar primaticcia, da non confondere con le patate novelle che vengono prodotte in montagna. Sfortunatamente la bea, pur essendo un prodotto di grande pregio, è una varietà poco durevole, sensibile alle malattie fungine e tendente a rinverdirsi con una certa facilità. Viene seminata a febbraio e prima della semina le patate da seme devono essere opportunamente sezionate in piccoli pezzi. Successivamente, quando le giovani piante emergono dal terreno, si procede con le operazioni di sarchiatura e di rincalzatura del terreno (baulatura). La raccolta inizia nel mese di maggio e si protrae fino a giugno. Dopo tale mese non ha più senso raccogliere la bea, in quanto da questo periodo le patate vengono raccolte un po’ovunque. Rispetto alle altre patate la produzione della Bea è medio-bassa, sui 300-350 quintali/ha. Il Veneto produce in un anno circa un milione e quattrocentomila quintali di patate, prevalentemente tardive nelle province di Verona, Padova e Vicenza. A Chioggia vengono prodotti 8.000 q.li di patate primaticce.

La barbabietola rossa da orto di Chioggia (Erbetarava)

L’erbetarava (Beta vulgaris L.) appartiene alla famiglia delle Chenopodiaceae, e comprende le barbabietole degli orticoltori. Le numerose forme e cultivar si possono riunire in due gruppi principali: con radice cilindrica, di diametro non superiore a 2-3 cm; si consumano le foglie, con nome di erbette o Blede (B. cicla L.; B. hortensis Miller), oppure i picciuoli carnosi, appiattiti, bianchi o variabilmente colorati col nome di Coste (B. flavescens Helm) con radice fusiforme ingrossata, commestibile o coltivata per usi industriali; le parti aeree sono usate come foraggio – var. crassa (Alefeld) Helm (B. esculenta Salisb; B. rapa Dumort.). L’erbetarava è prodotta e consumata solo in estate ad eccezione del territorio di Chioggia dove viene prodotta in primavera e in autunno.
A Chioggia è conosciuta come Erbetta-rava, in quanto viene consumata in due modi: come erbetta da taglio corrispondente al gambo (manico) insieme alle foglie, e come “rava“, ossia rapa o radice. Per poter essere raccolta dopo i primi di marzo occorre seminarla a spaglio nel mese di novembre sotto il tunnel; in alternativa si semina a 30 cm tra le file. L’investimento varia dalle 40 alle 50 piante per mq. La raccolta essendo manuale abbisogna di molta manodopera. La produzione autunnale è meno praticata, mentre per la raccolta estiva si semina in primavera. Come tutte gli ortaggi a radice la “Barbabietola Rossa” da orto ama terreni sabbiosi ricchi di fosforo e potassio come quelli chioggiotti. Di recente in cucina è di moda la “pinzimoniata”ossia il consumo delle foglioline giovani lessate o “incalstrite” con altre essenze vegetali come la rucola e il radicchietto da taglio; viene usata come base per molti secondi a base di carne e pesce.
Nel Veneto la produzione si è attestata intorno ai 13.000 quintali, perlopiù prodotti nel veronese per la trasformazione dei preparati “precotti”, mentre a Chioggia se ne producono solo 2.000-3.000 quintali all’anno.

Asparago bianco e verde di Conche (Asparago de Conche)

Il primo documento europeo sull’asparago (Asparago comune, Asparagus officinalis) fu scritto in un monastero francese che lo battezzò come ortaggio nel 1469. Successivamente, il botanico tedesco Hyeronimus Bock (1539) ne descrisse la tecnica colturale.
La coltivazione dell’asparago (Mantoan, 2003) può essere considerata alla stessa stregua di un frutteto, in quanto presenta caratteristiche colturali pluriennali. Prima di entrare in produzione, dal momento dell’impianto, l’asparagiaia impiega due anni.
Il Veneto si colloca al primo posto in Italia sia come estensione di superficie coltivata (1.400 ha) che come produzione dell’asparago (7.000 t); in particolare si distingue come area di maggior superficie destinata alla produzione del turione bianco, dislocata principalmente nelle province di Padova e Verona. Nell’areale padovano i comprensori più importanti sono nel monselicese con Pernumia, S.Pietro Viminario e a Codevigo (Conche, Santa Margherita e Valli).
L’asparago di Conche, la cui produzione iniziò all’inizio degli anni ’50 del ‘900, oggi viene commercializzato con il marchio di qualità che ne identifica la provenienza; esso viene coltivato su una superficie di circa 130 ettari, caratterizzata da un habitat di origine lagunare che conferisce al prodotto particolari caratteristiche organolettiche, collocandolo, tra le produzioni orticole della zona, come la specie più tipica. Una volta raccolti i turioni siano essi verdi o bianchi occorre procedere con la legatura in mazzi, e a seconda della dimensione e del calibro possiamo avere un prodotto finito “extra”, di “prima qualità” o di “seconda scelta”. La lunghezza del turione bianco nel mazzo non deve superare i 21 cm, mentre nel verde può arrivare a 27 cm.

Radicchio rosso di Chioggia (Radecio tondo rosso o a bala rossa)

La Cicoria comune e il Radicchio (Cichorium intybus L. var. silvestre) appartengono alla famiglia delle Asteraceae o Compositae. Nota fin dall’antichità come pianta medicinale, la cicoria fu largamente coltivata nell’Europa durante gli ultimi due secoli per la radice che, arrostita, forniva un surrogato del caffè di gusto gradevole e privo di caffeina, proprietà già da identificata Prospero Alpino nel XVI secolo. Il Veneto si può considerare a buon diritto la patria del radicchio, intendendo come tale le forme di cicoria a foglie colorate di rosso o variamente screziate e variegate. Qui infatti, a livello genealogico ebbe origine il radicchio di Treviso. Successivamente, dal trevigiano derivò il Radicchio di Castelfranco, e solo nel 1930 – a seguito di lunghe selezioni che hanno permesso di ottenere cespi sempre più serrati e compatti – il Variegato di Chioggia.

Radicchio rosso di Chioggia
Radicchio rosso di Chioggia

Nel quaderno dell’Istituto Federale di Credito per il Risorgimento delle Venezie, del marzo 1923, si riscontra che il radicchio fu inserito nella rotazione agraria insieme ad altri ortaggi a seguito dell’interruzione dei rapporti con il resto della Penisola a causa della I Guerra Mondiale che indusse l’interessamento di alcuni studiosi all’economia di Chioggia in quanto luogo di produzione alimentare per il dopoguerra. Tutto ciò è confermato nei ” Cenni di economia orticola” (Pagani & Gallimberti, 1929) dove viene indicata la tecnica colturale del radicchio ottenuto negli orti lagunari.
La maggiore disponibilità di materiale da riproduzione e la scelta massale nei periodi più idonei, nonché l’anticipazione delle semine di due-tre giorni all’anno , hanno permesso di ottenere delle popolazioni sempre più precoci e di migliorare la colorazione anche delle specie tardive, tanto che, attualmente, la coltivazione del Radicchio rosso di Chioggia si effettua tutto l’anno. In seguito allo sviluppo delle produzioni orticole e il concentrarsi della commercializzazione dei prodotti a Sottomarina, l’Ente Delta Padano si fece promotore della costruzione dell’attuale mercato ortofrutticolo di Brondolo che fu inaugurato nel 1971.
Il Radicchio Rosso di Chioggia può essere liberamente prodotto con o senza il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) (Azienda Regionale Veneto Agricoltura, 2001; Disciplinare di produzione del radicchio rosso IGP, 2001; Boscolo Bachetto, 2003). L’IGP è un riconoscimento dell’Unione Europea su un prodotto che risponde a delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche di un determinato territorio, ovvero di un prodotto peculiare originatosi in un determinato contesto socio-culturale e geografico. Un patrimonio quindi con un’identità ben radicata e consolidata negli anni, comprovata da scritti e testimonianze storiche che ne attestano l’origine.
La produzione Radicchio Rosso di Chioggia IGP comprende due tipologie, quella “precoce” e quella “tardiva”, caratterizzate da un diverso periodo di maturazione, che permette di coprire il mercato per quasi l’intero arco dell’anno. La tipologia “precoce” è esclusiva dell’area litoranea, dei comuni di Chioggia e Rosolina, spingendosi verso l’entroterra fino al Canal di Valle in Comune di Chioggia e nella zona dei monti a Rosolina (RO), mentre la tipologia “tardiva” viene prodotta da settembre fino a marzo e comprende un’area di produzione ben più estesa della prima interessando oltre ai due comuni già menzionati anche Taglio di Po, Ariano Polesine e Loreo per la Provincia di Rovigo, Cavarzere e Cona per la Provincia di Venezia, nonché Codevigo e Correzzola per la Provincia di Padova.
Anche se la pianta presenta modeste esigenze nei confronti del clima, è indispensabile porre la massima attenzione a eventuali abbassamenti termici in quanto possono provocare la “vernalizzazione” delle piante con conseguente anticipo dell’emissione dello scapo fiorale o prefioritura (andare in canon), con sensibili danni economici per la perdita di prodotto.
La tipologia “tardiva” si suddivide a sua volta in altre due categorie merceologiche: la “categoria extra” e la “categoria prima”. La prima corrisponde alla qualità superiore, mentre nella seconda vengono tollerati grumoli con minime imperfezioni in relazione all’uniformità, alla colorazione delle foglie, nella “toilettatura” e nel colore del fittone.
Con una produzione complessiva di oltre 60.000 tonnellate annue, il Rosso di Chioggia, rappresenta oltre la metà di tutti gli altri radicchi veneti; nella sola zona di Chioggia ne vengono prodotte circa 30.000 tonnellate.

Radicchio bianco di Chioggia (Radecio bianco tondo o a bala bianca)

La cultivar Bianco di Chioggia deriva dal Radicchio Variegato di Chioggia, mediante la selezione dei cespi meno antocianici di variegato.

La zucca marina di Chioggia (Suca Marina o Suca Baruca de Ciosa)

La famosa zucca di Chioggia (Cucurbita maxima Duchesse) appartiene alla famiglia delle Cucurbitaceae. Originaria del Messico e del Perù, dov’era coltivata già qualche millennio a.C., venne introdotta in Europa con la “scoperta” delle Americhe. Tuttavia anche i romani conoscevano una cucurbita, probabilmente la zucca da vino (Lagenaria siceraria), in chioggiotto i suchi, utilizzata sia come salvagente che come borraccia. dall’impianto. Non c’è comunque dubbio che la patria d’origine della zucca marina è senza alcun dubbio Chioggia (Vinello, 2005), dov’è coltivata probabilmente fin dalla fine del XVII secolo, da cultivar americane più o meno selvatiche, per opera degli ortolani di allora che giunsero a questa selezione a seguito di incroci di due o più tipi diversi, ottenendo così la mitica suca baruca, famosa oggi in tutto il mondo e immortalata da Carlo Goldoni nelle “Baruffe Chiozzotte”, dove un pezzo di zucca cotta è la causa scatenante delle famose baruffe: l’offerta della zucca a Lusietta, promessa sposa a Tita Nane, da parte del giovane marmottina, fu il vero e pretesto per iniziare le baruffe.

Il celebre naturalista chioggiotto Fortunato Luigi Naccari nei primi dell’800 nella sua “Flora Veneta”(1826-1828) ci ha lasciato una testimonianza importantissima sulla zucca marina, riportando che nella famiglia delle Cucurbitaceae, le specie Zucca popona o C. pepo L., annovera tra i sinonimi la suca baruca, e la “zucca clodiense” (Cucurbita clodiensis Michi), o zucca di Chiazza: zucca dal collo torto e la “zucca santa”, e citando Chioggia come la maggiore produttrice di queste specie. Un’altra specie descritta dal Naccari è la Zucca orciuolo, probabilmente appartenente al genere Lagenaria, la zucca da vino dei Romani. Segue infine la descrizione di una Zucca verrucosa, tra i cui sinonimi appare la “zucca mestrina”.
In passato a Chioggia la zucca veniva venduta nelle calli e consumata soprattutto cotta al forno. Altre varianti tradizionali erano la suca col late, i rafioi ripieni de suca, i gnochi de suca. Ma il piatto per eccellenza è la minestra de risi e suca, mentre per i dolci ricordiamo la medievale pinza e la smejassa. Oggi purtroppo, il consumo di zucca marina si è notevolmente ridotto a favore di nuove varietà come la “violina”, la “delica” e la “mestrina”. che, diversamente dalla marina si accomunano per il fatto che il loro frutto è di taglia ridotta. Tuttavia nel confronto gustativo la “marina” non ha rivali tra le consimili proprio per le sue qualità organolettiche di gran lunga superiori. Riconoscibilissima per la sua forma particolare che la fa sembrare un turbante, marcatamente schiacciata ai poli, costoluta ed irregolare con ampio e caratteristico “ombelico” a sostituire la cicatrice stilare, con buccia di colore grigio, peduncolo grosso, molto sviluppato e tendenzialmente lungo.
La Zucca marina ha oggigiorno tutte le caratteristiche per poter essere rilanciata ed avere i riconoscimenti che gli aspettano, anzi è un auspico che questo splendido prodotto orticolo possa presto arrivare a fregiarsi del titolo di “Presidio Slow food”.

Cipolla bianca di Chioggia (La Musona Bianca de Giugno e la Bianca Agostana)

Allium cepa L. sono rispettivamente il genere e la specie di quest’ortaggio appartenente alla famiglia celle Liliaceae. In Italia la cipolla ebbe già nell’antichità grande importanza alimentare, così da costituire uno dei cibi fondamentali degli antichi Romani. Plinio scrive (Naturalis Historia IX, 6) che gli Egiziani consideravano la cipolla e l’aglio come divinità. Le denominazioni dialettali sono tutte derivate dal basso latino caepula. Nel Veneto prevalgono cevola, zevola, scevoa, seola, e nel Cadore anche theola. A livello locale le prime notizie certe sulla diffusione della coltivazione della cipolla a Chioggia risalgono agli inizi dell’800 come viene segnalato nei già citati “Atti Notarili del Catasto Austriaco del 1827”. Nel corso del ‘900, vari sono stati gli interventi volti alla valorizzazione del prodotto, come ad esempio i primi lavori di selezione della varietà “Cipolla Bianca di Chioggia” (Disciplinare di produzione della cipolla bianca di Chioggia, 2001), dove al fine del ripristino delle varietà locali di pregio in via di progressiva decadenza, la “Cipolla agostana di Sottomarina”, sotto la nociva presenza dell’ibridismo con bulbi degeneranti della stessa varietà o di varietà affini, minacciavano di sperdersi in un crescente disordine produttivo. Così in pochi anni coltivatori esperti, sono riusciti a rifornire di seme e di piantine provenienti dai loro semenzai, un discreto numero di coltivatori operanti sul mercato.

Cipolla bianca di Chioggia
Cipolla bianca di Chioggia

Una dimostrazione del forte legame tra la cipolla ed il territorio viene data dalla ancora forte tradizione gastronomica delle “sardele in saor“. Se poi analizziamo la tipica cucina chioggiotta, scopriamo che molti sono i piatti tradizionali che si rifanno all’abbondante uso della cipolla, utilizzata sia come mezzo di conservazione dei cibi, basti pensare ai numerosi piatti in agro-dolce, oppure come condimento (es. peoci in casso pipa). Del resto i pescatori chioggiotti, prima dell’avvento delle barche a motore, salpavano il mare per diversi giorni prima di poter rientrare a casa senza scali marittimi, per cui era giocoforza fare uso di cibi a lunga conservazione.

 

La “Musona bianca di Chioggia” è una cultivar primaticcia, particolarmente adatta al consumo fresco e alla cottura a vapore, dal sapore dolcissimo e più ricca di acqua rispetto all’agostana. Essa viene impiegata anche per la produzione di cipollotti; viene seminata direttamente sul campo tra gennaio-febbraio e raccolta in giugno-luglio, oppure seminata a metà settembre in semenzaio e trapiantata sul campo tra ottobre e novembre con raccolta dei cipollotti dopo la metà di aprile. L’ agostana di Chioggia è bianca, lucida, con bulbo di maggior consistenza della “musona”, conservabile fino ad ottobre-novembre e comprende due tipologie: una “precoce”, che viene raccolta a metà luglio e seminata ad inizio febbraio e una “tardiva”, che è raccolta a metà agosto e seminata a fine febbraio;

Porro di Conche (El Poro de Conche)

Il porro (Allium porrum L.) della famiglia delle Liliaceae deriva dal “porraccio” (Allium ampeloprasum L.), che si presenta talora sub-spontanea su ruderi e macerie, soprattutto nell’Italia del Nord Est. Il porro è entrato nella realtà dell’orticoltura locale focalizzandosi principalmente nell’area di Conche e Piovini, dove ha trovato l’habitat ideale nel caratteristico terreno alluvionale limoso con terreni freschi, fertili.
Il porro è un tipico ortaggio invernale che nel panorama degli ortaggi rappresenta una coltura alquanto particolare per il fatto che per essere prodotto abbisogna di molti mesi di coltivazione. È una pianta avidissima in termini di fertilità, ma di lentissimo accrescimento in grado di sopportare bene la salinità, il freddo invernale ed il terreno umido e pesante tipico della zona di Piovini e di Conche, purché sia ricco di sostanza organica, ossia ben lettamato. Può essere seminato a fine inverno o a primavera per essere pronto a fine autunno o nell’inverno successivo oppure seminato a giugno per poter essere pronto nella primavera successiva. Generalmente un buon investimento si aggira intorno alle 1500 piante per ettaro. Una buona abitudine, con l’inizio dell’inverno, è quella di mottare le piante con terra di campo solo da un lato delle file, mediante la tecnica della rincalzatura. I requisiti di un bel prodotto sono il colore bianco, la forma cilindrica e senza rigonfiore alla base, con un diametro ottimale di circa tre cm.

 

BIBLIOGRAFIA

Atti notarili del catasto austriaco (1827) Circondario Censuario n. 3, Provincia di Venezia – Distretto di Chioggia – Prospetto di classificazione del Comune Censuario di Chioggia con Lido di sotto Marina.Azienda Regionale Veneto Agricoltura (2001) Il radicchio rosso di Chioggia. Aspetti tecnici ed economici di produzione e conservazione.

Boscolo Bachetto M. (2003) Indicazione geografica protetta e radicchio rosso di Chioggia. Chioggia. Rivista di Studi e ricerche” n. 22.

Columella Lucio (1977) L’arte dell’agricoltura, Einaudi.

Da Re F. (2003) Scheda tipicità orticole chioggiotta. Chioggia. Rivista di Studi e ricerche” n. 22.

Disciplinare di Produzione della Cipolla bianca di Chioggia (2001) Relazione Tecnica; Relazione Storica. Modello per la valorizzazione e l’acquisizione della tutela comunitaria di IGP per i prodotti agricoli tipici locali – di Venezia,
Opportunità della CCIAA di Venezia in collaborazione con Spazio Verde.

Disciplinare di Produzione del Radicchio Rosso IGP (2001) Consorzio per l’IGP del Radicchio Rosso di Chioggia.

Mantoan C (2003) L’asparago bianco di Conche, Piovini e Valli. Chioggia, Rivista di Studi e Ricerche” n. 22.

Naccari F.L. (1826-1828 ) Flora veneta, o descrizione delle piante che nascono nella provincia di Venezia, Bonvecchiato L., Venezia.

Pagani L., Gallimberti C. (1929) Chioggia e il suo territorio: cenni di economia agro-orticola. Quaderno LXIV, Istituto Federale delle Casse di Risparmio delle Venezia, Premiate Officine Grafiche, Ferrari C., Venezia.

Provincia di Venezia (2001) La tipicità agroalimentare in Provincia di Venezia. Assessorato alle attività produttive, agricoltura e alimentazione – Provincia di Venezia. Stampa Mutigraf, Spinea -Venezia.

Sandal E. (1993) La Mariegola degli ortolani di Chioggia. Chioggia. Rivista di Studi e ricerche n. 10.

Simoni R. (1993) Regolamento degli ortolani dell’antico territorio di Chioggia in un codice pergamenaceo veronese. Chioggia. Rivista di Studi e ricerche” n. 10.

Vianello E. (2005) La Zucca Marina di Chioggia. Chioggia. Rivista di Studi e ricerche” n. 27.