Il miele della Valle Millecampi

di Paolo Zatta e Antonella Miola

L’ape è piccola tra gli esseri alati,
ma il suo prodotto ha il primato fra i dolci sapori

(Siracide 11, 3)

Ape

La parola miele pare derivi da melit nell’ antica lingua degli Ittiti. L’uomo ha conosciuto le prelibatezze del miele fin dal periodo mesolitico quand’era uso “rapinare” gli alveari naturali come ci testimonia una pittura rupestre di circa 9000 anni fa rinvenuta nella grotta “Cueva dell’Arana” nei pressi di Valencia in Spagna. La lavorazione del miele è pure molto antica e nasce quando l’uomo si accorge che può far confluire sciami naturali di api in contenitori costruiti all’uopo, le arnie; sono state trovate arnie risalenti al VI millennio a.C.. Nell’antico Egitto. il miele era molto apprezzato come viene documentato nei disegni sul Sarcofago di Mykerinos (Contessi, 2005). Le prime notizie di apicoltori che si spostavano lungo il Nilo per seguire con le proprie arnie la fioritura delle piante risalgono a circa 4000 anni fa. Nelle tombe dei faraoni sono stati rinvenuti vasi di miele ermeticamente chiusi con il contenuto perfettamente conservato. Il miele era usato, oltre che in cucina, anche per curare disturbi digestivi o per creare unguenti per piaghe e ferite.

La medicina ayurvedica già nel mille a.C., utilizzava il miele nella farmacopea come purificante, dissetante, vermifugo, antitossico, regolatore, refrigerante, stomachico, cicatrizzante, e “naturalmente”, come spesso capita nell’immaginario, come afrodisiaco. Ogni specifico malanno aveva uno specifico rimedio con un differente tipo di miele.

I Sumeri impiegavano il miele nella cosmetica impastandolo con argilla, acqua e olio di cedro per preparare creme; mentre i Babilonesi lo usavano prevalentemente per cucinare: sono giunte a noi notizie di focaccine fatte mescolando farina, sesamo, datteri e miele; mentre nel Codice di Hammurabi si ritrovano disposizioni con cui gli apicoltori venivano tutelati contro il furto del miele dalle arnie. Per i Greci il miele era il “cibo degli dei”, e veniva impiegato nei riti religiosi. Omero descrive la raccolta del miele selvatico, Pitagora lo raccomandava come elisir di lunga vita e pure Virgilio di miele e di api nel “De apibus et earum nutrimentum”. I Romani ne andavano ghiotti e lo importavano in grandi quantità da varie aree del Mediterraneo come Creta, Cipro, Spagna e Malta, anzi secondo alcuni il nome originale di quest’isola sembra derivi da Meilat, ossia la terra del miele. Il miele fino alla produzione industriale dello zucchero era utilizzato come principale dolcificante, come pure nella produzione di idromele, della birra, e come conservante alimentare oltre che per preparare salse agrodolci.

Arnie

Il miele è il prodotto dell’alacre lavoro delle api a partire da sostanze zuccherine che vengono trasformate. Le principali fonti di approvvigionamento delle api sono il nettare dei fiori e la melata, un derivato quest’ultimo dalla linfa degli alberi, prodotto da alcuni insetti succhiatori che trasformano la linfa delle piante trattenendone l’azoto ed espellendo il liquido zuccherino in eccesso. Il nettare invece è prodotto dai fiori e serve ad attirare gli insetti impollinatori che assicurano, con il loro passaggio di fiore in fiore, la fecondazione dei fiori stessi. Le api domestiche possono raccogliere il nettare solo da alcuni fiori detti melliferi.

La produzione del miele comincia nel gozzo dell’ape operaia dove un enzima (invertasi) scinde il saccarosio in due zuccheri più semplici: il glucosio e il fruttosio. Tutto questo avviene mentre l’ape ritorna verso l’alveare. Una volta giuntavi il nettare elaborato durante il volo, ricco d’acqua, viene disidratato per assicurarne la conservazione. A questo punto entrano in gioco le api bottinatrici che lo depongono in strati sottili sulla parete delle cellette; mentre le api operaie ventilatrici, agitando le ali, producono una corrente d’aria che provoca l’evaporazione dell’acqua fino a raggiungere una percentuale dal 17 al 22%. A questo punto il miele è pronto e viene immagazzinato in altre cellette che, una volta piene, saranno sigillate dalla cera formando l’opercolo.

I principali componenti del miele sono: glucosio, fruttosio, acqua e polline.
Fra le varie proprietà il miele presenta un’azione antibatterica dovuta all’elevata concentrazione zuccherina e al pH acido, oltre all’azione dell’enzima glucosio-riduttasi, inattivo nel miele puro, ma attivo in soluzione in grado di trasformare il glucosio in acido gluconico e acqua ossigenata. Questo accorgimento è dovuto alla necessità di proteggere il miele dai batteri.

Il miele di valle o di barena

La valle Millecampi, coi suoi 1608 ettari di estensione, è uno dei gioielli naturalistici, ahimè sotto utilizzato se non male impiegato, del nostro territorio provinciale e della Saccisica. Il termine valle deriva dal latino valleum, ossia steccato, parapetto, riparo di rami intrecciati che in origine venivano usati da soli o con delle reti, in determinati periodi dell’anno, per contenere il pesce che vi migrava spontaneamente (monta), pesce che poi altrettanto spontaneamente ritornava al mare (smontata). La Millecampi è una valle aperta, ossia un tratto di laguna dove non ci sono argini naturali o artificiali, come sono stati costruiti in epoche relativamente recenti, talvolta anche illegalmente, per alcune valli della Laguna Veneta (Longhin, 2004).

Antiche arnie
Antiche arnie

L’ambiente vallivo è caratterizzato da terreni limosi-argillosi ricchi di sali in particolar modo i cloruri. Tutte le piante necessitano d’acqua e la maggior parte di esse utilizza acqua a basso contenuto salino. Solo poche specie dette alofìte sono specializzate a sopportare acqua con elevate quantità di sale (Caniglia, 2004). Le alofite, pur essendo una piccola minoranza tra le piante, presentano tuttavia una larga distribuzione geografica per le loro proprietà che grazie alla selezione naturale si sono adattate all’ambiente dove riescono a sopravvive, anzi a prosperare. Tra le piante alofìte presenti in valle Millecampi, com’è stato ben descritto in un volume precedente di questa collana (Caniglia, 2005), troviamo la Pulcinellia palustris, la Sarcocornia fruticosa, l’Halimione portulacoide, l’Aster tripolium, il Limonium narbonense che sono delle alofite perenni.

Una testimonianza concreta della produzione del miele di barena o di valle la si trova in una fotografia pubblicata sulla rivista l’ Apicoltore moderno nel 1938, che testimonia la presenza di arnie in barena. Il miele di valle assume alcune caratteristiche peculiari dall’ambiente dove vengono poste le arnie. La valle Millecampi, che rappresenta come si è detto una delle bellezze di grande valore naturalistico del nostro territorio, è anche il luogo dove vengono collocate le arnie affinché le api possano “bottinaie” nel periodo tra luglio e settembre. Le arnie vengono depositate agli argini della valle, mentre un tempo venivano poste proprio all’interno della valle stessa col rischio di essere inondate dalle maree capricciose. Il miele di valle rappresenta uno dei prodotti tipici della gronda lagunare veneta dove un ruolo importante viene giocato sia dalla flora che dall’ambiente salmastro e che si riflettono ineluttabilmente sulle proprietà organolettiche e nutrizionali del prodotto.

Il miele di valle si presenta di un bel colore dell’ambra con una cristallizzazione media e omogenea ed è caratterizzato da un retrogusto amarognolo. Una preliminare indagine melissopalinologica (Metodo D.L. 25/07/2003), ossia la ricerca di polline nel miele della valle Millecampi, ha riscontrato la presenza di due tipi di polline di Plumbaginacee, oltre ad altri granuli pollinici in quantità minori e una scarsa presenza di indicatori di melata (spore di Altemaria spp. e Epicoccum spp.). Il polline di Plumbaginacee desta particolare interesse per la sua relativa abbondanza: esso si presenta con due diversi aspetti: il tipo A è caratterizzato da una parete con evidente reticolatura, il tipo B presenta invece una parete finemente reticolata e più compatta. La presenza di due tipi diversi di granuli non indica necessariamente che le api abbiano visitato specie diverse di piante. E’ noto infatti che il Limonium narbonense, plumbaginacea molto abbondante nella vegetazione di barena, e nota con il nome di statice, produce due tipi di polline, che corrispondono esattamente ai tipi osservati (Turner e Blackmore, 1984). Si può pertanto pensare che le api bottinatrici, pur visitando anche altre piante di barena con fiori più appariscenti, non disdegnino lo statice. Dalla letteratura (Ricciardelli D’Albore e Persano Oddo, 1981) si apprende che il Limonium spp. è discretamente appetito dalle api per il nettare, e in misura minore per il polline. In genere la sua rappresentatività nei mieli è molto scarsa. Fiorisce da giugno a settembre.

In piena estate, finito il periodo della fioritura, gli alveari vengono rimossi e ai telai carichi di miele viene tolto l’opercolo di cera che copre le cellette, e sono inseriti in una centrifuga detta smielatore che rimuove il miele. Il prodotto così ottenuto viene filtrato per eliminare eventuali impurezze, fatto riposare per 30-40 giorni e quindi posto in vasetti di vetro senza nessun’altra manipolazione.

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Foto di polline estratto dal miele di api da arnie poste in Valle Millecampi osservato al microscopio ottico. Polline di Plumbaginaceae del tipo A e B e colorato con fucsina basica. Si può osservare la particolare scultura in rilievo delle pareti, che facilita l’attacco dei granuli al corpo dell’ape. Entrambi i tipi pollinici sono prodotti dallo statice (Limonium narbonense): alofita comune nella vegetazione di barena, riconoscibile per le sue spighe di piccoli fiori rosati, che sbocciano durante l’estate.

Ringraziamenti

Si ringrazia il Dr Roberto Piol per il contributo dato alla determinazione del polline nel miele della valle Millecampi

BIBLIOGRAFIA

>Caniglia G. (2004) Flora e vegetazione, in “Laghi costieri e stagni salmastri“, Quaderni Habitat, Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e Museo Friulano di Storia naturale, Comune di Udine.
Caniglia G. (2005) Flora della valle Millecampi, in “Natura e Ambiente in Saccisica e dintorni“, (a cura di Paolo Zatta), Banca di Credito Cooperativo di Piove di Sacco (PD).
Contessi A. (2005) Le api, biologia, allevamento, prodotti. Edagricole, Bologna.
Longhin E. (2004) Le valli della Laguna di Venezia. Amministrazione Provinciale di Venezia.
Ricciardelli D’Albore G., Perano Oddo L. (1981) Flora apistica italiana. Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Federazione Apicoltori Italiani, Roma.
Turner S. C. e Blackmore S. (1984) Plumbaginaceae. In : “The Northwest European pollen Flora“. IV vol. (Ed. Punt W. e Clarke G.C.S.). Elsevier, Amsterdam.>