A proposito del cibo a Km zero

Il cibo a Km zero, di cui oggi si parla molto,va inteso non tanto come un dogma, quanto piuttosto come metafora della verità.  Se fosse preso in senso letterale significherebbe che dovremmo privarci del caffé, della cioccolata, delle banane, della frutta esotica e di tutto quello che di buono non cresce fuori della porta di casa. Non mi pare che questa sia la filosofia di Terra Madre di Slow Food che organizza ogni  anno un evento molto importante per far conoscere ed apprezzare il lavoro degli agricoltori soprattutto di quelli  che provengono da paesi a noi lontani. L’idea del Km zero non va pertanto confusa con la filiera corta. L’importante é intendersi.

cibo a Km zero

L’idea del Km zero é sicuramente un  progetto di lavoro molto interessante, partito qualche anno fa per iniziativa della Coldiretti preoccupata dello sbilanciamento dell’agroalimentare italiano e dall’aumento delle importazioni che possono danneggiare gravemente la produzione nazionale. Almeno il 25% della frutta che mangiamo é infatti importata.

Km zero ha significato soprattutto quando parliamo di prodotti freschi e stagionali che possano passare rapidamente e senza troppi viaggi dal campo alla tavola garantendo così freschezza, stagionalità, sostenibilità, risparmio energetico, valorizzazione dei prodotti di nicchia tipici del territorio, giusta remunerazione ai produttori ecc.

Lo slogan Km zero, seppure efficace,  da solo non é  garanzia di qualità intesa come qualità dei suoli dove vengono coltivati i prodotti, qualità dell’alimentazione degli animali, assenza di aflatossine negli alimenti (http://www.efsa.europa.eu/it/press/news/contam070302.htm), uso delle energie alternative per un risparmio responsabile delle risorse, uso intelligente della chimica (ricordate la vecchia storia dell’atrazina? Anche questa era a Km zero, tanto che usciva dai rubinetti di casa). Per avere tutto questo si deve iniziare da un autocontrollo serio e responsabile da parte  dei produttori, ma soprattutto da una conoscenza sempre più consona ed approfondita da parte del consumatore. Come dire, fidarsi é bene, non fidarsi é meglio evitando comunque il terrorismo psicologico perché, a detta dei NAS, il cibo dei nostri mercati é abbastanza controllato e sano, anche se tutto perfettibile.

Sicuramente vanno incoraggiati gli acquisti direttamente dai produttori anche per conoscere di più chi lavora e come lavora. Aumenta poi ogni giorno di più l’ interesse per i gruppi di acquisto solidali e responsabili specie in questo periodo di difficoltà economica. Stanno aumentando inoltre le  iniziative per gli acquisti diretti  dai produttori via internet come avviene per gli orti di Sant’Erasmo a Venezia (www.ortidipace.org) e di www.cortilia.it, ma ce ne sono molti altri ancora.

pesce

Che dire poi del pesce a km zero, quello pescato a strascico, sotto costa e magari in maniera non sempre legale? No di certo! Privilegiamo invece il piccolo pescatore che lavora con la rete anche se il prodotto costa qualche euro in più, perché ne vale la pena. I nostri mari soffrono da tempo la crisi conseguente all’aratura subita dai fondali marini, arati proprio come si arano i campi e  quindi diventati sterili. Occorre ad esempio mangiare più pesce azzurro: sardine, sgombri, acciughe, i suri ecc. perché costa poco, fa bene per i contenuti di prodotti importanti per la salute (es. omega 3 ecc.) piuttosto che le solite specie d’allevamento o il Pangasio del delta del Mekong, uno dei siti più inquinati della Terra.

In conclusione c’é molto su cui riflettere, ma soprattutto c’é molto da studiare per conoscere meglio quello che mangiamo, perché Faber est suae quisque fortunae, ossia ognuno é artefice del proprio destino, come diceva Appio Claudio il  censore fin  dal IV secol0 a.C. !

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