VULCANIA, 22 – 24 maggio 2013, una bella kermesse organizzata in quel di Monteforte d’Alpone dal Consorzio Tutela vini di Soave: una “full immersion” che ha impegnato per tre giorni giornalisti, comunicatori e operatori del settore alla scoperta di grandi vini figli di Vulcano.
La Terra del Soave ha storia antica che non manca certo di testimonianze a partire dal bel castello degli Svevi o Suevi poi di Soave: un fortilizio del X secolo, voluto da re Berengario I, trucidato a Verona mentre assisteva alla messa.
Nella Terra del Soave si fa vino da tempo immemore…poi si è dovuto fare i conti con le nuove esigenze e le feroci leggi del mercato. Cominciamo col dare alcuni dati forniti dal direttore del consorzio, il “vulcanico”Aldo Lorenzoni: 6.700 ettari di vigneto, 3.000 produttori, 512.000 ettolitri, 60 milioni di bottiglie per un valore complessivo di 150 milioni di €. Risorse davvero importanti per l’economia locale. Un territorio dalla geologia complessa che con amenità si manifesta a cominciare dai rilievi eocenici quali il monte Calvarina (670 m.s.l.m.), il monte Crocetta di Terrossa, dal colore dei terreni argillosi, il monte Duello e altri ancora che degradano fino al piano: rilievi emersi circa 45 milioni di anni fa con prorompenti eruzioni basaltiche. Un vasto panorama geologico che comprende terreni multiformi: basaltici, tufacei, arenacei, calcarei, argillosi, lave grigie e nere ecc., elementi che contribuiscono significativamente alla diversificazione delle numerose tipologie dei vini di Soave.
Il bel vigneto del SOAVE ha raggiunto la più alta densità viticola – di certo in Italia – e forse fra le più alte al mondo, che ha occupato ormai tutto l’occupabile senza possibilità per nuovi impianti. Un territorio che “per la fatica e il lavoro dell’uomo” ha saputo, grazie alla cooperazione post-bellica, trasformare quelle che inizialmente erano delle debolezze in veri punti di forza di un territorio che da fenomeno è diventato sistema, dando il meglio della qualità possibile al suo prodotto principe: il vino. Oggi – dice il direttore del consorzio – si cerca soprattutto di ottimizzare i risultati di un equilibrio che sappia far fronte alle esigenze del mercato”. Perché il mercato non perdona e non accetta distrazioni.
Il vitato soavese è prevalentemente a pergola veronese (6.000 ettari), dove la Garganega regna sovrana e vigorosa con la sua aromaticità contenuta, i nitidi profumi di fiori bianchi e financo di mandorla, la buccia pruinosa e poco spessa, di un colore che va dal giallo dorato al giallo ambrato. Un vitigno dalle capacità straordinarie in grado di dare vini multiformi e straordinari. Della Garganega hanno parlato personaggi che tra il XIX e il XX secolo hanno fatto la storia dell’enologia italiana come Alberti, Acerbi, Molon e altri ancora.
La Garganega rappresenta oggi il 90% dell’uva coltivata in queste terre. Tuttavia, sebbene quantitativamente molto più modesto, non va dimenticato il Trebbiano di Soave, un vitigno antico che com’ ebbe a sottolineare in un’ intervista al Vinitaly 2011 il prof. Attilio Scienza “può dare un grande contributo alla Garganega del Soave dando struttura, corpo e potenza contribuendo a portare quei descrittori aromatici di natura norisoprenoica, depositari di aromi da invecchiamento, come polvere da sparo, pietra focaia e cherosene, tanto amati dagli anglosassoni perché ricordano il Riesling renano, i vini della Loira e della Borgogna, vini di alta gamma per intenditori”.
Nella Terra del SOAVE alla triade: uomini-storia-territorio, va aggiunto un altro protagonista fondamentale: il contesto vulcanico dal quale deriva peraltro l’indovinato nome dell’evento. Anche Giovanni Ponchia, giovane frizzante enologo del consorzio ha da aggiungere del suo. “Per capire i vini del SOAVE occorre conoscere il terreno andando tra le vigne e calpestarlo”. Mentre infatti i “terreni bianchi”, a prevalenza calcarea, danno vini immediati, vinosi, beverini, con toni di fragranza, che si esprimono con un caratteristici profumi delicati di mela, talvolta di mandorla e di fiori bianchi, i “terreni scuri”, con definite caratteristiche vulcaniche, danno invece “vini pigri” che necessitano di tempo per potersi esprimere al meglio con i loro profumi migranti verso sentori più decisi di frutta matura se non esotica.
E’ ancora il prof. Scienza a venirci in aiuto per far maggior chiarezza nel magmatico argomento pedologico. Terreni totalmente vulcanici, come l’Etna o Pantelleria – dice Scienza – sono molto rari in quanto alle eruzioni basaltiche sono susseguite diverse sovrapposizioni che hanno creato nuove realtà metamorfiche complesse attraverso fenomeni tettonici che hanno dato origine a terreni con caratteristiche diverse da quelle vulcaniche originali.
Dove ci sono suoli vulcanici sovrabbondano i microelementi (fosforo, potassio, magnesio, calcio, zolfo, ferro, e ancora rame, zinco, vanadio…), assolutamente necessari, se non indispensabili, alla nutrizione della vite e alla “creazione” di grandi vini. Sebbene siano queste conoscenze antiche, sono state tuttavia dimostrate in tempi moderni a partire dagli studi del chimico agrario tedesco Justus von Liebig (1803-1873) con la sua “Legge del minimo” del 1840.
Tutte cose sottolineate dallo stesso Scienza fin dal VULCANIA 2010 quando ebbe a parlare dei microelementi e della loro “azione catalitica che influenza e rafforza il metabolismo dei microrganismi a partire dai lieviti dando energia alla fermentazione e alle trasformazioni chimiche che aiutano l’invecchiamento dei vini. I vini diventano quindi ricchi e complessi, mentre dai terreni calcarei abbiamo vini fini, eleganti se vogliamo, ma certo meno complessi, meno strutturati, meno speziati”. Ed é ancora il prof. a tagliare netto, come con una spada tagliente, l’abusato termine della mineralità; la mineralità – disse allora Scienza, è una balla inventata; essa si riferisce ad alcuni prodotti di elaborazione dei norisoprenoidi, per cui non è vero che si senta il sapore del suolo nel vino, o il sentore di cherosene che può simulare talvolta il sapore della terra e dell’argilla come per i Chablis. La mineralità è infatti solo il risultato dell’evoluzione dei norisoprenoidi che nulla hanno a che fare col terreno. Beh, se non è chiarezza questa!
Altra carta importante nella viticoltura del territorio soavese è il microclima: un attore importante come i precedenti che qui negli ettari vitati si diversifica nei diversi filari estesi dal colle al piano.
Ho provato infine un sentimento di grande ammirazione quando ho visto le vecchie vigne a piede franco, di età anche centenaria, sopravvissute alla fillossera occorsa in Europa tra la fine del XIX e i primi del XX secolo: delle vere glorie preservate solo grazie all’ amore di chi le ha volute e sapute custodire nel tempo.
Il territorio del SOAVE non va preso con leggerezza, esso va vissuto incontrando uomini e luoghi, dai contadini-vignaioli, categoria nobilissima”, agli enologi, punto critico del sistema vitivinicolo se dobbiamo dare ascolto ai vecchi “saggi” quando dicevano che “il vino buono si fa in vigna. Vero, ma le cose nella realtà sono molto più complesse.
Bene, anzi benissimo ha fatto il Consorzio di Tutela vini Soave a proporre in occasione di Vulcania 2013 una scheda valutativa-3D, una sorta di Verbum vini, una sincrasi dei lemmi Origine, Stile e Valore che sintetizza le caratteristiche tecniche e ambientali che contraddistinguono il vino di Soave e lo rendono pertanto riconoscibile. Rimane ancora distante, ahimè, lo spazio tra chi il vino lo produce e chi lo consuma così come la capacità di riconoscere un vino dal luogo di provenienza. Pochi sono infatti coloro che capiscono ciò che bevono e che sanno impreziosire un vino col giusto abbinamento. Ecco quindi la ragione della scheda 3D, quasi una chiave interpretativa per aiutare a riconoscere un vino dall’ origine, dalla tipicità e dalla naturalità, com’é chiaramente emerso dalle relazioni d’apertura della kermesse. Come infatti ad ogni persona si confà un certo abito con una certa foggia e taglia, così pure per un vino come il SOAVE ci dev’essere una veste tagliata su misura per descriverlo appropriatamente, anche se l’approccio alla 3D, almeno per me, non é stato all’inizio così immediato.
Pioggia a parte, ma questo dipende solo da Giove pluvio, l’evento, alla sua quinta edizione, è stato ancora una volta interessante, pieno di spunti e soddisfacente per l’accoglienza, la professionalità dell’organizzazione, dal presidente del Consorzio Tutela Vini Soave, Arturo Stocchetti, da poco presidente dell’ UNIVE, ai già citati Aldo Lorenzoni, e Giovanni Ponchia, alle gentili dame dell’accoglienza e della comunicazione e a tanti altri ancora. Ho avuto altresì la piacevolezza di degustare decine di vini, ciascuno con la sua personalità, di visitare delle belle aziende efficienti poste talvolta in posizioni panoramiche incredibili, e ritornarmene a casa soddisfatto perché qui il vino è “buono” (è banale dirlo, ma se non fosse così direi altre cose) e una terra davvero generosa, anzi SOAVE, come i suoi grandi vini.